Un emendamento al disegno di legge Delega fiscale, approvato dalla commissione Finanze della Camera, indica che le società multinazionali che operano anche in Italia, come Google, Facebook e Amazon, dovranno pagare le tasse nel nostro Paese in misura proporzionale al fatturato.
Con la sua sede in Irlanda, ad esempio, un gigante come Mountain View è riuscito nel 2012 a versare all’erario italiano un milione e ottocentomila euro, a fronte di una raccolta pubblicitaria in Italia stimata intorno ai 700 milioni di euro.
La norma, presentata da Ernesto Carbone, sanerebbe parzialmente questa sorta di scappatoia fiscale, da tempo nel mirino di Bruxelles e, da poche settimane, anche del G20.
In una conversazione con Formiche.net, il deputato democratico spiega genesi e prospettive della misura.
Onorevole, questo regime fiscale per i giganti del web va avanti da anni. Perché porvi un freno solo ora?
Me lo chiedo anche io. Si sarebbe dovuto intraprendere da tempo questo percorso. Vede, non è solo una questione dettata dalla contingenza economica, ma è un modo per ristabilire equità e giustizia in un mercato poco normato. Se me lo consente vorrei rispondere a una recente battuta di Google, che in tono forse un po’ arrogante aveva detto di aver stabilito “la propria sede europea in Irlanda” e che “se ai politici non piacciono queste leggi, loro hanno il potere di cambiarle”. Ecco, noi lo abbiamo fatto.
Non crede che, battute a parte, quello della fiscalità rimanga un vulnus da sanare a livello europeo?
Perfettamente d’accordo e dico di più, spero che in un futuro non troppo lontano si vada oltre, varando norme globali. Per ora si parla di qualche miliardo di euro, ma è evidente che l’economia digitale è il cuore degli scambi commerciali di domani. E non è un caso che se ne sia discusso proprio durante l’ultimo G20.
Qual è l’opinione dell’esecutivo rispetto al suo emendamento?
Il giudizio del governo è senz’altro positivo. Anche se gli emendamenti erano due, ma per ragioni di opportunità sono stati fusi in uno. Quindi dico che approfondirò la questione inerente la partita iva pubblicitaria.
Ovvero?
Con questo emendamento viene stabilito l’aspetto che le società pagheranno progressivamente rispetto al loro fatturato, ma vorrei andare oltre, obbligando chi vende pubblicità in Italia a dotarsi di un domicilio fiscale italiano, ovviamente per il volume d’affari sviluppato nel nostro Paese. Cambierebbe tutto. Purtroppo in legge delega non è possibile approfondire in modo eccessivo, ma solo enunciare il principio. Ma nei prossimi decreti che abbiamo in conversione proveremo a introdurre anche questo. La ritengo una battaglia di civiltà. Alcuni dati in particolare: Yahoo in Italia ha 90 dipendenti, 600 in Francia, 900 nel Regno Unito. Lo stesso dicasi per Msn che ne ha rispettivamente 60, 800 e 1600. Google più Youtube 120, 1000 e 1200. Una situazione che ci penalizza ulteriormente anche sul piano occupazionale e che pertanto non può proseguire.
Chi ha votato contro il suo emendamento?
In commissione è passato all’unanimità, con il sostegno di tutti. Un orientamento, che salvo sorprese, dovrebbe essere replicato in aula.
Quali i tempi di approvazione?
Andrà martedì in aula e credo che entro mercoledì, a seconda dell’iter parlamentare, dovrebbe essere votato.
Tra i firmatari si leggono nomi di imprenditori come Matteo Colaninno, responsabile economia del Pd. Ha trovato resistenze o ricevuto pressioni da parte di società coinvolte?
Chi fa impresa non è detto che sia pregiuzialmente contrario a provvedimenti che, come questo, nascono con buone intenzioni. Non deve stupire. Quanto alle resistenze è normale che ne abbia incontrate. Ma ognuno fa il suo lavoro. E le posso dire che il nostro non finirà qui.