Le dichiarazioni e gli atti del Papa sono diventati ormai da decenni un fenomeno di comunicazione. In effetti, l’originalità sta nella Chiesa romana che si presenta davanti all’opinione pubblica in modo politico, ma, al tempo stesso, con un approccio diverso rispetto alle democrazie pluraliste. Il dibattito politico è pluralista per definizione, guai se non lo fosse, il mondo cattolico è monocratico, e guai se non lo fosse.
E’ chiaro che una certa tendenza a leggere l’esercizio dell’autorità del Pontefice come se fosse soggetta al solo arbitrio della singola personalità è in una certa misura normale. Prima un Papa polacco, poi un Papa tedesco, infine un Papa argentino: quante prospettive diverse in epoche storiche diverse.
Ora, sebbene tutto ciò sia vero (non esiste, infatti, un pontificato senza un singolo Papa), è però importante non perdere di vista la specificità dei presupposti che reggono l’istituzione religiosa per eccellenza, i quali, al contrario appunto delle regole democratiche, non sono per definizione soggette al giudizio di nessuno, neanche a quello del Vescovo dei vescovi.
In questo senso, il dibattito che si è creato attorno ad alcuni atti iniziali del magistero di Francesco, attenti alla dimensione della povertà e della socialità, ha ingenerato dei falsi dubbi sul presunto progressismo di Bergoglio, effettivamente identici ai pronunciamenti critici e ridicoli, lo ricordiamo tutti, su Ratzinger definito come “il pastore tedesco”.
Se fosse per ignoranza, bisognerebbe prendersela, ma, in realtà, è il gioco comprensibile dei media, cui facciamo parte tutti. E chi critica per criticare trova buon gioco nel secolarizzare, ossia nel rendere relativo, quanto relativo e secolarizzato proprio non è.
Mi spiego. La recente intervista di Francesco a Civiltà Cattolica ha messo il Papa in condizioni di dire quello che il Vangelo afferma. Quindi egli lo ha affermato. In primo luogo il fatto che la fede cristiana è, soprattutto, una grande affermazione della vita, dei suoi fondamenti positivi, dell’ordine naturale e soprannaturale del creato, i quali, intrecciati insieme, esprimono l’essenza razionale di una realtà voluta e redenta da un Dio unico e intelligente che è Amore.
Pensare che il Papa possa dire qualcosa di diverso da un messaggio a favore della sacralità dell’esistenza personale, della bellezza del matrimonio, del mistero bello e struggente del venire al mondo e del morire come passaggio a nuova e migliore vita è pensare che dietro il volto e le candide vesti bianche non ci sia altro che vuota rappresentazione magica e costume anacronistico.
In realtà, Papa Bergoglio non è altro che il Vicario di Cristo. E come tale dice quello che la dottrina cristiana ha raccolto nel catechismo e che ogni fedele sa e deve conoscere, se vuol capire ragionevolmente la sua fede, come Verità.
D’altronde, questo non significa nascondersi i problemi che oggi e anche ieri richiede la scelta di vivere nel celibato o nel matrimonio la fede. Chi è mosso da un amore per Tre Persone eterne che si amano eternamente tra loro e ci amano infinitamente come può vivere un impegno temporale se non con lo sguardo del “per sempre”?
Come può pensare che in questi lineamenti possa esservi spazio per personalismi o variazioni? Come si può pensare che giungerà un Papa che dirà che l’aborto non è un omicidio, che la famiglia di Nazareth è uguale a quella omosessuale e che divorziare è compatibile con la responsabilità e i doveri che si ha verso chi si vuole amare fino a generare altre vite?
Veramente è un mistero giornalistico. Ovviamente, non l’unico ma uno dei più rilevanti del nostro tempo.
D’altronde, nessuno è così insipiente da pensare che Bergoglio non stia riformando il modo di presentare e di testimoniare la sempre identica verità della fede. Nessuno è così ingenuo da non vedere che scatto sta facendo la Chiesa. Il segreto di Bergoglio è che sta rendendo amabile la fede di sempre, accettando di togliersi i gioielli e di parlare di Cristo anche sui giornali, anche con intellettuali che hanno fatto dell’ateismo la condizione indispensabile della propria e altrui intelligenza.
E’ questo è un segnale di vitalità della Chiesa che va capito e apprezzato.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI leggevano e comunicavano la fede in modo diverso tra loro, ma l’elemento comune era il verticismo. Wojtyla aveva un modo molto autonomo e santo di presentarsi al mondo e di calare sul mondo la speranza e la gioia della libertà cristiana. Ratzinger ha lavorato dall’alto per portare dentro la Chiesa i lumi di una dottrina splendente e austera. Bergoglio, invece, segue una linea orizzontale. Non parla a tutti dall’alto, ma parla a tutti da pari.
E’ certamente un modo latinoamericano di stare con la gente nella gente, di mostrare il carattere “normale” della figura del sacerdote, del vescovo e del Papa. Questo muoversi orizzontalmente lo porta naturalmente a essere attraente e vicino a ognuno, soprattutto a chi è in difficoltà morale ed economica. Tuttavia, la sua forza di scendere dal pulpito e di stare in contatto con tutti deriva dalla medesima granitica verità che da sempre orienta in modo immutabile la Chiesa Cattolica. Avendo ispirato tutti i papi da San Pietro in poi.
Agostino, non a caso, diceva: “Credi e fa ciò che vuoi”. Facendo quello che sente, quello che è nel suo modo di essere santo, papa Francesco sta assicurando e portando nel cuore del mondo il suo credo, il nostro credo autentico. Il credo di sempre e di tutti. Il credo che soffre per le miserie degli altri perché vede e conosce innanzitutto le proprie.