Skip to main content

Tutti pazzi per Papa Francesco. Pure D’Alema ammaliato da Bergoglio

Una visione della democrazia sociale, sostanziale, partecipata. Che riscopre la dignità della persona perché vive dell’anelito alla trascendenza presente in ogni uomo. È in questa prospettiva, religiosa e politica, che prende corpo “l’utopia” incarnata da Papa Francesco. Tema al centro dell’incontro promosso a Roma ieri dall’Opera romana pellegrinaggi guidata da Monsignor Liberio Andreatta e dalla rivista di geo-politica Limes diretta da Lucio Caracciolo.

GUARDA TUTTE LE FOTO DI PIZZI

Utopia che per il vaticanista Piero Schiavazzi si è concretizzata nel “buen aire e nella primavera confrontatasi prima con gli spifferi delle stanze vaticane, poi con i venti di guerra della politica mondiale”. È il progetto di un “governo mondiale di pace che fa appello alla responsabilità degli Stati e alla coscienza degli individui”. Un disegno attorno a cui emerge una straordinaria affinità tra i due protagonisti del confronto, apparentemente lontani per cultura e formazione.

La critica radicale di Monsignor Mario Toso al neo-liberismo

A ricostruire l’“utopia democratica” prospettata da Francesco è Monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, già ispiratore dei Convegni di Todi in cui il mondo cattolico tentava un’iniziativa autonoma sul terreno civile, economico-sociale, culturale. Punto di partenza per la sua riflessione è il saggio scritto nel 2011 dall’allora Arcivescovo di Buenos Aires in occasione del bicentenario dell’indipendenza argentina, intitolato “Noi come cittadini, noi come popolo”. Libro nel quale il Cardinal Bergoglio proponeva una rifondazione dei regimi democratici in preda alla crisi delle oligarchie. E prospettava una democrazia “ad alta intensità”: partecipativa, sociale, sostanziale. Alternativa a quella attestata su livelli di povertà intollerabili e sulla carenza di una visione globale di sviluppo.

Non si tratta di una finzione mentale senza luogo né tempo. Perché attiene a “un percorso storico connaturato a radici antiche e maturato mediante lotte e sacrifici per superare prima lo Stato liberale-borghese e poi i regimi totalitari del Novecento. Proiettato verso lo Stato sociale democratico che l’ideologia neo-liberista vorrebbe gettare al mare”. Un’ideologia, rimarca Toso, fondata sull’individualismo libertino a-sociale, a-morale, edonistico. “Fattori che dividono e impediscono di riconoscersi in un tutto, in una realtà ampia che è il popolo. E producono visioni a breve termine esaurite nella spettacolarizzazione e mediatizzazione dominate dalla logica del profitto”. Il “giusto ordine” prospettato da Francesco secondo i principi di sussidiarietà, solidarietà, educazione, lavoro, persegue invece lo sviluppo integrale per tutti, rendendo ogni cittadino protagonista del proprio destino, al di fuori di un’assistenza paternalistica e pauperistica.

È una visione politica che va oltre antichi retaggi culturali dell’universo cattolico ed ecclesiastico e matura una critica radicale a un libero mercato a egemonia finanziaria, “che ha prodotto con la crisi una sospensione tecnocratica della democrazia”. Non siamo di fronte al rifiuto dell’economia di mercato, che “animata dalla giustizia può promuovere il bene comune”. Ci troviamo davanti alla polemica contro il pensiero di Friedrich Von Hayek, per il quale il regime democratico non può realizzare il fine della giustizia sociale e deve risolversi in poche robuste garanzie della libertà individuale. Tesi che ha prodotto “la crisi della democrazia antropologica, partecipativa e anche rappresentativa”. Con le inevitabili reazioni che invocano democrazia diretta, movimentismi velleitari, leadership carismatiche e verticistiche. Una contrapposizione speculare tra torsione oligarchica e risposte populistiche che accresce il fossato tra governanti e popolo. Lungi dal vagheggiare la via nebulosa della “democrazia liquida e telematica”, Bergoglio propone una rigenerazione basata sul “pro-essere, sulla relazionalità e fiducia reciproca”.

L’elogio di Massimo D’Alema al cristianesimo universale di Francesco

L’orizzonte proposto dal Pontefice persuade Massimo D’Alema, che tre anni fa dedicò un numero monografico della rivista della Fondazione ItalianiEuropei all’“Europa cristiana”. Convinto che “il cristianesimo sia uno dei fondamenti della democrazia poiché non vi è democrazia senza la scoperta e l’affermazione della dignità umana”, l’ex Presidente del Consiglio condivide la lettura di Monsignor Toso: “La crisi è stata prodotta da un capitalismo selvaggio e globale per cui le cose hanno preso il sopravvento sulle persone, e l’economia dei gruppi multinazionali liberi da ogni controllo ha sopraffatto la politica espressione della partecipazione critica dei cittadini. Le stesse leadership pubbliche sono state plasmate e create dal denaro”. Nella veste di “studioso della politica a cui capita la fortuna provvidenziale di girare il mondo”, l’ex capo del governo rileva come la politica sia arrossita di fronte alla semplicità e umanità dirompente del Pontefice, esemplificata nel suo viaggio a Lampedusa: “Perché un conto è denunciare in un convegno la tragedia delle migrazioni, un altro è viverlo con gesti sconvolgenti andando lì”. Allo stesso modo sulla crisi siriana, spiega una persona convinta che in certi casi è necessario un intervento armato guidato da obiettivi politici, “il Papa ha persuaso molte cancellerie dell’inefficacia dell’uso puramente punitivo della forza”.

Ma la forza di Francesco, spiega D’Alema, risiede anche “nel sorriso coinvolgente e caldo con cui trasmette il suo messaggio: riflesso di una Chiesa che rischia e non si chiude nell’auto-referenzialità, ripropone la sua universalità dopo aver corso il rischio di essere reclutata nello scontro di civiltà da un Occidente non più in grado di vincere con i valori, la cultura, l’economia”. L’ex segretario dei Democratici di sinistra scorge i segni della ritrovata missione pastorale nell’ecumenismo e nel modo umano di parlare di omosessualità e temi etici, in sintonia con l’idea di carità incarnata da Carlo Maria Martini: “Mantenendo la visione tradizionale che non cede sui principi ma superando un’ottica puramente difensiva, reattiva, conservativa del messaggio cristiano. Che permea invece molte confessioni protestanti percorse da un’inquietante militanza, mediatica e politica, con cui il cattolicesimo deve confrontarsi nei paesi emergenti”.

Fenomeni che a giudizio dell’ex ministro degli Esteri corrispondono a un bisogno effettivo di comunità e partecipazione nel mondo confusamente policentrico di oggi, privo di strumenti internazionali di governo e regolazione dei conflitti. A partire da quello irrisolto in Terra Santa che da laico-nazionale si è trasformato in guerra religiosa. Come in Siria, “dove non vi è la semplice ribellione di un popolo contro il tiranno”. Il perché D’Alema lo riassume in un episodio: “Quando da capo della Farnesina feci una visita in Siria, le suore piemontesi che gestivano l’Ospedale cattolico di Damasco mi chiesero, lontano dai riflettori, se l’Occidente volesse esportare la democrazia anche lì. E per illustrarne gli effetti mi mostrarono decine di feriti e profughi cristiani fuggiti dalle feroci persecuzioni delle maggioranze musulmane ascese al potere in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein”.


×

Iscriviti alla newsletter