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Alfano, Cicchitto, le ragioni di oggi e i torti di ieri

Scrivo queste considerazioni poche ore prima che al Senato (poi alla Camera) si comprenda, attraverso il dibattito e il voto, se il governo di Enrico Letta potrà proseguire nel suo incerto cammino o se il Paese si avvierà verso una prospettiva di cui è difficile intravedere gli sbocchi, anche se non è esagerato prefigurare esiti molto gravi per l’ulteriore imbarbarimento del quadro politico, per il discredito che il nostro Paese raccoglierà tra i partner europei ed internazionali, per l’incapacità di far crescere i primi cenni di inversione di tendenza nell’economia.

Uno scenario devastante

Poiché una nazione importante come l’Italia non può andare a rotoli, perché non lo consentono quelle interconnessioni che ormai esistono nel mondo globalizzato e nell’area della moneta unica, se non verrà raddrizzata la baracca (occorrerà un’operazione titanica come quella compiuta con la Concordia davanti all’Isola del Giglio), noi non saremo neppure in grado di andare a picco in solitudine ed autonomia, perché saremo commissariati dalla trojka (Ue, FMI, Bce), i cui rappresentanti impartiscono ordini secchi, senza avere il minimo riguardo per le conseguenze di carattere sociale.

Società complessa e partiti affamati

Lo sottolineo io che vorrei arrivare a questo punto, perché credo che una società complessa e in crisi non possa essere più governata da partiti affamati di consenso; io che per questi motivi ho apprezzato e sostenuto il governo Monti perché aveva questo profilo, almeno nelle battute iniziali.

Che cosa direbbe la Troika

Lo ricordo quindi per mettere in guardia coloro che al consenso ci tengono perché sappiano che alla trojka non importerà un fico secco degli “esodati” e del rifinanziamento della cig in deroga e non le passerà neppure per l’anticamera del cervello di abolire od anche di ridurre l’Imu. Per fortuna, in queste ultime ore è sembrata – i segnali in tal senso sono tanti – che la situazione possa essere recuperata attraverso una divisione del Pdl, una parte del quale, sotto il nome di Forza Italia, resterebbe a fare la guardia al bidone (absit iniuria verbis) e a richiudersi con il Cavaliere nella sua “ridotta della Valtellina”; mentre un’altra parte, guidata da Angelino Alfano (che sembra essersi concesso un po’ di coraggio) darebbe vita a nuovi gruppi parlamentari orientati a votare la fiducia e a proseguire nell’esperienza di governo: tutto ciò con numeri adeguati ad una maggioranza non casuale né raccogliticcia come quella che sorresse, in cambio di poltrone da sottosegretario, l’esecutivo di Berlusconi nell’ultimo anno di vita, dopo la espulsione/scissione di Gianfranco Fini.

Forza Ppe

Ci sono forze importanti che lavorano affinché questo disegno vada in porto, non tanto e non solo perché da esso può nascere, insieme ad altri, un partito moderato che sia di riferimento per il Ppe, ma soprattutto perché è indispensabile impedire a Silvio Berlusconi di fare ulteriori danni in un momento tanto delicato per il Paese e la società italiana.

Berlusconi mina vagante

Il Cavaliere è ormai una mina vagante, una mongolfiera bucata, un uomo disperato pronto a tutto per vendere cara la pelle, perché, per quanto sia obnubilato, non può non rendersi conto di essere uno sconfitto a fine corsa. Non c’è sentimento di gratitudine o di riconoscenza che possa impedire di contrastare il disegno berlusconiano.

Quegli ultra berlusconiani staliniani

Solo i generali sovietici davanti a plotoni d’esecuzione durante le Grandi Purghe si facevano ammazzare al grido di “vita Stalin”. Attendo dunque con fiducia che si consumi lo strappo, al grido di: “Il re è morto, viva la Repubblica”.

Mi si consenta di togliermi un sassolino

Un piccolo sassolino in una scarpa, però, me lo voglio togliere. In tanti anni di vita politica ho imparato che è assai meglio aver ragione dopo, accodandosi agli altri, che prima, da soli. Tanto, non riconosceranno mai i tuoi meriti e non ti daranno mai ragione, perché troveranno sempre un argomento per sostenere che prima non c’erano le condizioni per compiere quell’atto che ora diventa necessario ed urgente.

L’ordine sbagliato nel 2012

Lo scorso  6 dicembre  2012 un ordine sbagliato (proveniente da Palazzo Grazioli  con una telefonata ad un senatore del Pdl: un gesto di arroganza ripetuto pari pari  sabato scorso da Arcore) mise in moto – col pretesto delle dichiarazioni rilasciate dal ministro Corrado Passera sul proposito di riscendere in campo di Silvio Berlusconi – quella valanga che il giorno dopo avrebbe portato ad un’arzigogolata espressione del voto di astensione (all’insegna opportunista nel non aderire né sabotare) anche alla Camera e al discorso di Angelino Alfano, del 7 dicembre, con il quale si  aprì la crisi del governo Monti.

Cicchitto, ricordi?

Va ricordato, però, che, mentre a Palazzo Madama Maurizio Gasparri aveva avuto il buon senso di prendersela soltanto con le incaute affermazioni di Passera (nei confronti delle quali la reazione del Pdl era sicuramente esagerata, ma giustificata e soprattutto recuperabile), alla Camera, il capogruppo Fabrizio Cicchitto, prima, il segretario del partito, poi, avevano tirato in ballo – all’improvviso come se fossero reduci da poche ore da un lungo viaggio nello spazio – la politica del Governo nel suo insieme, criticandola con gli stessi argomenti e toni di una qualunque irriducibile forza di opposizione.

Le conseguenze nefaste dell’omicidio del governo Monti

Nella mia ormai lunga vita mi è capitato di assistere impotente a tanti errori politici.  Ma il 6 e il 7 di dicembre il gruppo dirigente ai massimi livelli del Pdl, non si era limitato a sbagliare: aveva dato prova di una stupidità non comune. Vorrei che in tanti si chiedessero quale sarebbe la situazione dell’Italia se quel processo non si fosse interrotto e se la legislatura fosse arrivata alla scadenza normale.

Mi si consenta una conclusione personale

Sarà consentita almeno una considerazione di carattere personale. Il 6 e il 7 dicembre dell’anno scorso, quando tutti sgomitavano per tornare sotto l’ombrello del Cavaliere e dopo che il capogruppo, in Aula, aveva cantato il  “De profundis” per il Governo, io chiesi la parola e manifestai il mio dissenso dal gruppo, seguendo soltanto le indicazioni della mia coscienza e continuando a votare, fino alla conclusione della legislatura, la fiducia all’esecutivo dei tecnici ed iscrivendomi al gruppo misto.

Sono molto contento che, alcuni mesi dopo, in tanti  – allora rimasti in silenzio – si ritrovino sotto le insegne di una nuova formazione politica.

 


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