Angelino Alfano e i suoi amici hanno compiuto il primo passo nella giusta direzione. La costituzione dei gruppi (alla Camera; e al Senato?) è un secondo passo positivo ed utile perché tenta di fare chiarezza dopo la “mossa” del Cavaliere che, con una spregiudicatezza al limite della disonestà politica, sta cercando di trasformarsi in un “convitato di pietra” in grado di condizionare, con la sua linea di condotta e la sua presenza, l’evoluzione del quadro politico.
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Cinico Cav.
A pensarci bene, la piroetta di Silvio Berlusconi non era del tutto imprevedibile, anche se in quest’occasione è andato oltre il suo solito cinismo e ha dimostrato di avere una faccia tosta da premio Oscar. Nella vicenda che ha accompagnato la caduta del governo Monti, lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni di febbraio, il Cavaliere ha tenuto, più o meno, il medesimo atteggiamento di oggi con l’obiettivo di rimanere al centro della situazione.
Le tappe
Facciamo un po’ di cronistoria. Il 6 dicembre – su indicazione di Silvio Berlusconi – i gruppi parlamentari del Pdl passarono al voto di astensione, ribadito il giorno successivo da un intervento in Aula del segretario Angelino Alfano per il quale l’esperienza del governo Monti doveva considerarsi esaurita. Poi, dopo la riunione del vertice Ppe che aveva steso un tappeto rosso a Mario Monti, mentre il Cavaliere non era stato preso in considerazione neppure dagli uscieri, quest’ultimo era tornato in patria, bello come il sole, autonominandosi lord protettore, niente meno, di quel Mario Monti che aveva sfiduciato pochi giorni prima, a cui si dichiarava, in quel momento, disposto a cedere la guida dei moderati.
Il caso Popolare
Con tale operazione (irricevibile per il professore) il Cavaliere riuscì pure, mandando un suo messaggio al convegno, a vanificare il timido atto di ‘’ribellione’’ di talune fondazioni di play casino online area che si erano riunite a Roma sotto il nome di “Italia popolare”, i cui leader, invece, finirono per riconsegnarsi a lui. In seguito a Berlusconi fu possibile riproporsi e ripresentarsi (concedendo la Lombardia alla Lega Nord) come leader del centro destra, dettare persino l’agenda della campagna elettorale (con una buona dose di demagogia e grazie alla dabbenaggine degli avversari) ed impedire al centro sinistra di vincere le elezioni.
Le furbizie
I fatti successivi sono noti e si sono sgranati, con un’escalation di ciniche furbizie, alla velocità del suono: prima le dimissioni di tutti i parlamentari raccolte dai capi gruppo (che squallore servile!); poi la minaccia di non votare la fiducia, condita da affermazioni gravissime, come quelle pubblicate nella lettera inviata alla rivista Tempi e uscite poche ore prima del voltafaccia berlusconiano.
La beffa
Infine, la beffa del voto di fiducia dopo che tutti i pasdaran si erano cimentati nel gioco di chi la sparava più grossa ed urlava più forte il NO. Si è dimostrato ancora una volta il disprezzo che il Cavaliere nutre per i suoi accolti. Ma ciò che offende di più è la scarsa considerazione di se stessi che hanno quei parlamentari che accettano di essere trattati come dei burattini o dei camerieri, pronti a dire, a comando, tutto e il suo contrario, purché glielo ordinino.
Il colpo di teatro
Alla fine, dunque, il colpo di teatro del Cav, soprattutto se dovesse essere accompagnato dalla mancata costituzione di un gruppo di alfaniani al Senato (la sola Camera che conta), ha lasciato non pochi margini di equivoco. Per fortuna, il Pd non è caduto nella trappola. Riproponendo se stesso, Berlusconi sperava di creare un imbarazzo insostenibile negli altri partiti della maggioranza a partire dai democrats. La mossa per ora non è riuscita; Letta è riuscito a respingerla. Ma i giochi non sono chiusi. Poi c’è l’appuntamento con il voto sulla decadenza.