“Una scossa per rimettere in cammino il nostro Paese, in cui 10 milioni di persone sono prive di un lavoro stabile e di protezione, sempre più in preda alla paura. Moltiplicate per i loro familiari rappresentano la grande maggioranza, elemento inedito nell’Italia repubblicana. Per questo motivo con i gradualismi e i piccoli passi nulla cambia realmente”. È con queste parole che Corrado Passera lancia “un grande piano politico in campo economico e istituzionale per sbloccare il processo decisionale e valorizzare i terreni in cui eccelliamo”. Lo fa nel corso di un seminario sulla politica industriale promosso dall’associazione “La Scossa” a Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma.
La zavorra del debito pubblico
All’origine delle arretratezze e dello stallo produttivo italiano vi è il problema cronico dell’enorme debito pubblico. Riguardo al quale l’ex amministratore delegato di Poste italiane e Intesa San Paolo mostra fiducia: “È un fardello sostenibile visto che resta per lo più nelle mani dei risparmiatori italiani. Per ridurlo non credo a tassazioni pesanti di tipo patrimoniale che soffocherebbero le prospettive di ripresa e le speranze del ceto medio”.
Politica industriale
Lungi dal vagheggiare una preminenza dello Stato nel terreno economico, Passera non chiede alle istituzioni pubbliche di “sostituirsi alle imprese decidendo come e dove si investe ma di metterle nelle condizioni di farlo, poiché sono le uniche in grado di creare ricchezza e lavoro”. E porta a esempio di una corretta politica industriale l’opera compiuta nei 12 mesi al governo: dall’apertura del mercato energetico grazie alla definitiva separazione di Eni da Snam Rete Gas all’adozione dei mini bond nel comparto creditizio, dallo sblocco delle opere infrastrutturali alle agevolazioni fiscali e contrattuali delle start-up. Ritardi e inadeguatezze, riconosce l’ex ministro per lo Sviluppo economico, si sono palesati sul fronte della pressione fiscale che resta intollerabile e dell’arretratezza del mercato del lavoro: “Per questo motivo l’aurea di credibilità mondiale creatasi con le prime riforme realizzate dall’esecutivo Monti si è appannata”. Mentre la scarsa capacità italiana di portare fino in fondo le infrastrutture strategiche ha una motivazione più antica: “Scaturisce dall’assenza di progettazione, di coinvolgimento delle popolazioni locali, della volontà dello Stato di imporsi sulla sindrome “Nimby”.
Il dilemma Alitalia
Condensato delle lacune della nostra politica industriale è la vicenda Alitalia. Un disastro nazionale, spiega il manager, provocato da un’azienda che ha bruciato risorse inimmaginabili, offerta a tutti e da tutti rifiutata. Anche da Air France, “fuggita nel 2008 per il veto dei sindacati avversi alle politiche di ristrutturazione e per l’ostilità di Silvio Berlusconi”. Ragion per cui la società appare destinata a fallire. L’ex numero uno di Intesa non condanna il tentativo compiuto con la cordata nazionale di imprenditori capitanati da Roberto Colaninno: “Fu un’iniziativa coraggiosa e valida, specie per la conservazione del posto di lavoro di 30mila persone, per l’ammodernamento dell’organizzazione, per l’alleggerimento dei debiti e il recupero dei rami aziendali con risorse private e non pubbliche”. Giunti sull’orlo del fallimento bisogna però trovare investitori privati in grado di puntare su rotte e flotte moderne risanando i bilanci con almeno 1 miliardo e 200 milioni. Nulla è perduto quindi. Al contrario di quanto avvenuto cinque anni fa, la salvaguardia dell’italianità dei futuri proprietari non è prioritaria rispetto alla scelta del migliore azionista capace di catalizzare e mantenere in Italia gli investimenti: “La politica lo ha fatto nei confronti di General Electric quando ha acquisito il controllo del Nuovo Pignone e quando ha comprato la Divisione aeronautica di Avio. E in entrambi i casi i centri produttivi e di ricerca sono rimasti in Italia”. Ciò non vuol dire che l’arrivo di imprenditori stranieri sia sempre preferibile. L’ex ministro ritiene nocivo l’intervento di gruppi esteri non interessati a valorizzare le nostre eccellenze ma a comprare e trasferire oltre frontiera i marchi nazionali, soprattutto banche e catene di distribuzione.
Il futuro di Rete Telecom
A giudizio di Passera ha dunque senso parlare di italianità e di primato della politica nella scelta degli investitori per “i beni economici comuni, poiché il mercato non può risolvere tutto con i propri mezzi”. È il caso della rete fissa di accesso alle telecomunicazioni, per la quale l’ex banchiere invoca una replica dell’operazione ENI-SNAM con lo scorporo del network di Tlc dalla nuova Telecom acquisita da Telefonica. Fautore del ruolo di Cassa depositi e prestiti come perno per la gestione dell’infrastruttura, il manager nega ogni logica statalista, “poiché attorno alla rete, su cui non vi è concorrenza, è possibile e doveroso creare servizi moderni attrattivi per gli operatori privati. È un settore in cui è essenziale investire per il lungo termine – e Telecom indebitata non può farlo – con un soggetto forte non competitivo con i fornitori e possibilmente italiano. Fattore rilevante in un paese che ha poche aziende forti e grandi, pochi cervelli industriali”.
Le direttrici di riforma della pubblica amministrazione
Ma il requisito essenziale è riformare l’anello fragile della nostra macchina statale che frena l’arrivo degli imprenditori stranieri. Passera vuole riorganizzare le responsabilità nella pubblica amministrazione stabilendo ruoli e tempi certi, superando uno pseudo-federalismo che li ha sovrapposti e confusi, investendo in formazione. E superando l’utilizzo della Pa per coltivare clientele, realtà parassitarie, interessi partitocratici. Per farlo “è necessaria un’organizzazione sindacale moderna. Quella che nelle centinaia di tavoli di crisi ha contribuito alla concertazione concepita come confronto e non come co-decisione. Non quella che ha osteggiato come la Cgil provvedimenti giusti e innovativi quali l’accordo riguardante la produttività”. Su tali presupposti, rimarca l’ex titolare delle Attività produttive, si può realizzare una politica di aiuto e incanalamento nel mondo del lavoro, di interventi sociali contro le povertà grazie a un legame intelligente tra amministrazioni locali e terzo settore.
Politica e futuro
Se le proposte si vanno profilando, le prospettive politiche appaiono ancora nebulose. Per ora Passera sta “lavorando a un progetto di cambiamenti profondi nell’economia, nell’istruzione, nel Welfare, nella legalità, nella sicurezza, nelle istituzioni”. La stessa struttura di governo, osserva, presenta incoerenze e squilibri. Ne è prova l’assenza di un ministero che inglobi le competenze ambientali, culturali turistiche e di un dicastero unico per Welfare e sanità. L’altro pilastro è “un’Europa capace di scommettere nei settori produttivi e strategici a partire dalla difesa”. Un’aspirazione mescolata al timore che il voto per l’assemblea di Strasburgo – occasione storica per la presidenza italiana dell’Ue – venga condizionato dalle polemiche di bottega”.