Dalla reazione ad attacchi reali, come quello dell’11 settembre 2001, alla costante prevenzione delle minacce future.
La strategia contro il terrorismo cambia pelle e si affina grazie a una nuova visione di interazione globale tra le forze speciali statunitensi, SOF l’acronimo inglese, e quelle dei suoi alleati sparsi per il mondo. Tra questi l’Italia, partner fondamentale per il contrasto ai pericoli provenienti dall’Africa, nuovo incubatore dell’estremismo di matrice islamica.
UNA RETE GLOBALE
È la Global SOF Network vision, un nuovo approccio che, come spiega un report di Rand Corporation, consentirà di rispondere rapidamente e in modo efficiente a contingenze regionali e minacce alla stabilità.
Circostanze tutt’altro che rare, come dimostra il recente arresto temporaneo del premier libico Ali Zeidan, una risposta di miliziani legati al ministero dell’Interno alla rendition americana di un membro di al-Qaeda, Abu Anas al-Liby.
UN NUOVO APPROCCIO
L’operazione che ha portato alla cattura del terrorista, condotta in strettissima collaborazione con il nostro Paese, è l’esempio lampante di come questo modello possa essere applicato con successo.
Rand ha individuato tre elementi portanti di questa visione: small footprints, “piccole orme”, ovvero una riduzione delle forze militari impiegate in zona e una presenza ridotta di basi e mezzi; reattività ed efficienza; capacity building, ossia forme di assistenza a istituzioni e organizzazioni per aumentarne l’affidabilità finanziaria e a rafforzarne le capacità di intervento autonomo.
MODELLO AFGHANISTAN
L’approccio adottato in Africa è parte di un progetto di riduzione della presenza americana in Medio Oriente che inizia dal ritiro delle truppe in Afghanistan dal 2014 – come si legge su Foreign Policy – e che vede le sue ragioni nella rivoluzione di shale gas e shale oil, che in pochi decenni renderanno autosufficienti gli Usa sul piano energetico. Una scelta, quella del disimpegno a stelle e strisce, che preoccupava fortemente gli alleati, soprattutto europei, che ora trovano conforto in questo nuovo modello di difesa che consentirà a Washington di investire maggiori risorse sul versante asiatico senza trascurare le minacce e le sfide geopolitiche nel Mediterraneo.
UN PONTE VERSO L’AFRICA
Ma in cosa consta il supporto italiano a questo nuovo approccio di difesa liquida globale? In installazioni cruciali come quella siciliana sono ospitati reparti speciali e i droni da sorveglianza Global Hawk, con un avamposto importante per il Comando Africa come quello di Aviano. Un ruolo, quello della Penisola, essenziale per esperienza, posizione geografica, dotazioni umane e tecniche. Un’inchiesta della rivista Mother Jones ha censito 59 siti militari americani in Italia, 13 mila soldati e un budget di 2 miliardi di dollari spesi dalla fine della Guerra fredda nel nostro Paese.
Fondamentali, poi, le postazioni nei Paesi africani, dalla quale partono droni da attacco, aerei per la guerra elettronica, nuclei d’élite contro le formazioni qaediste regionali. Un apparato integrato con l’assistenza diretta a truppe locali. Ecco perché l’Uganda o le spiagge somale sono il nuovo campo di battaglia della guerra di Barack Obama e degli Stati Uniti, ma anche dell’Italia.