Eppur si muove. Non un grande centro o una larghissima intesa permanente ma uno sbocco “europeo” potrebbe essere quello che ci riserva il futuro della politica italiana. Il governo politico di Enrico Letta ha saputo mettere in campo una generazione di classe dirigente “mediana” pronta ad assumersi la responsabilità di guidare il Paese oltre le secche della crisi. Il voto di fiducia dopo il ritiro della delegazione ministeriale del Pdl poteva essere la tomba di questo tentativo riformista, di cambiamento non traumatico. Per fortuna, quel passaggio si è rivelato una sorta di battesimo di un nuovo corso.
Nelle ore in cui Matteo Renzi a Bari inizia la sua corsa per la segreteria del partito e lo fa dichiarando la piena adesione del Pd al Pse e appoggiandosi anche al sostegno di alleati come Vendola (circostanza inimmaginabile fino a pochi mesi fa), dall’altra parte è il vessillo del Ppe a fare quello che in passato riuscì al scudocrociato: unire le diverse anime e correnti dei moderati alternativi alla sinistra. Si tratta di un processo lento ma incessabile. La settimana prossima toccherà all’eurodeputato Giuseppe Gargani mettere attorno allo stesso tavolo Lorenzo Cesa, Mario Mauro e Angelino Alfano. Nel frattempo, pochi giorni fa, a Budapest si è consumato un evento poco pubblicizzato ma molto importante: una riunione plenaria dell’Internazionale Democristiana. Pier Ferdinando Casini, che ne è stato e ne è il presidente, questa volta non era solo ma molto ben accompagnato.
Con il leader Udc e presidente della commissione Esteri del Senato c’erano due personaggi di prim’ordine, Franco Frattini e Mario Mauro. Il primo è stato il regista di un’operazione politica particolarmente interessante e lungimirante: ha voluto lasciare la presidenza della Fondazione Alcide De Gasperi (ereditata a sua volta da Giulio Andreotti) ad Angelino Alfano ed è proprio valorizzando questo ruolo che sta aiutando il vicepremier ad essere accreditato nel circuito dei più influenti think tank europei del Ppe. Mario Mauro è per parte sua una figura centrale nel disegno popolare che potrebbe far convergere una parte larghissima del centrodestra senza escludere o rinnegare Berlusconi. L’attuale ministro della Difesa è stato per molte legislature il rappresentante italiano più importante nel Ppe ed ha continuato a tenere i collegamenti sia con Bruxelles che con Arcore. Mauro, nonostante abbia seguito una strada diversa, non ha mai smesso di cercare un dialogo con Berlusconi riconoscendone gli errori ma anche i meriti. Questo rapporto con il Cav gli è valso qualche anatema bocconiano che però, a maggior ragione, lo ha consacrato nel ruolo di pontiere.
Nel Pdl (Forza Italia?) è in atto uno scontro fra le diverse anime del partito. Nessuno mette in discussione il primato del fondatore ma tutti sono consapevoli della necessità che il partito dovrà trovare il modo di emanciparsi. L’identità e soprattutto la guida del movimento è oggetto di un confronto aspro e ancora, per certi versi, disordinato. Da una parte vi è sicuramente Alfano ed un gruppo abbastanza omogeneo di dirigenti di partito che condividono esplicitamente l’evoluzione verso una integrazione delle forze che aderiscono al Ppe. Gli avversari dell’attuale segretario del Pdl hanno trovato una leadership in Raffaele Fitto, un politico di razza che ha capacità di far valere le sue ragioni ed anche il peso del suo radicamento territoriale. Quale che sarà l’esito della battaglia interna e dell’equilibrio che si troverà (e che Berlusconi sancirà), sarebbe un errore immaginare che lo stesso Fitto o il Cav. metteranno un veto alla strategia Ppe.
Alle elezioni europee ci sono le preferenze, ci si può contare. È il luogo e il momento ideale per mettersi, tutti, alla prova. Una nuova offerta politica del centrodestra inclusiva e non esclusiva può convenire a tutti e il voto potrebbe rivelarsi una sorta di primarie dell’area politica finora dominata in modo totalitario o quasi dal Cav. Allo stesso modo, queste elezioni di maggio 2014 saranno il banco di prova del Pse interpretato da Renzi. Chissà che non possa rivelarsi una sfida, quella popolari e socialisti, che non riaccenda il sogno di una politica rinnovata senza la rincorsa a vecchi nuovismi a cinque stelle.