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Addio Monti, leadership senza leader

Colpo di scena in Scelta Civica. Poche ore dopo  un pranzo al Circolo ufficiali tra il ministro Mario Mauro, il vice premier Angelino Alfano e Silvio Berlusconi, nel gruppo senatoriale di Scelta civica è successo il finimondo fino a provocare le dimissioni di Mario Monti che si è sentito “sfiduciato” da una dichiarazione congiunta di 11 senatori del gruppo rispetto al giudizio da lui espresso sul disegno di legge di stabilità.

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Bando ai retroscena

Proprio perché non amiamo i processi alle intenzioni al pari delle dietrologie tanto care a quei commentatori che in gergo vengono chiamati “retroscenisti”; proprio perché le nostre informazioni si basano più o meno su quanto scrivono i giornali (anche se una lunga pratica di frequentazione dei protagonisti del teatrino della politica è di grande aiuto per comprenderne, interpretarne, a volte anche prevederne, i comportamenti) non intendiamo – come è stato e sarà fatto – mettere in consequenzialità questi episodi, come se fossero causa ed effetto l’uno dell’altro. Ma i fatti esistono e gli atti sono stati compiuti.

I precedenti

Non è la prima volta che Mario Monti minaccia di rassegnare le dimissioni o le dà per poi ritirarle entro un breve lasso di tempo (come è accaduto nella notte tra il 31 luglio e il 1° agosto). Ora, è bene non dare per scontato nulla, anche se sono assai singolari e preoccupanti le ricorrenti convulsioni a cui ci ha abituati un movimento che pretendeva di unificare il meglio dei due schieramenti contrapposti del bipolarismo all’italiana, ma che rischia di farli rimpiangere entrambi.

Il caso delle anime belle

A pochi mesi di distanza dalla fondazione del movimento di Scelta civica il bipolarismo, ancorchè ferito gravemente (in egual misura dal M5S e dalle procure) non riesce a morire. E non riesce neppure a purgarsi degli aspetti che lo rendono inaccettabile a tante “anime belle” le quali, provenendo dalle Università, dalle professioni, dalla società civile, dalle arti, dalla scienza e dal mondo dell’impresa (vostra eccellenza che mi sta in cagnesco), pensavano di poter cambiare il Paese zittendo il prossimo  attraverso la presentazione dei loro curricula.

Le forze centrifughe

I resti di quel bipolarismo sopravvissuto a se stesso agiscono da forza centrifuga sulla formazione montiana, mettendo allo scoperto sia coloro che guardano alla prospettiva dell’area moderata e sia quanti  rivolgono la loro attenzione alla sinistra.

Cav o Renzi?

Con l’aggravante che, da un lato, è ancora lì il Cavaliere, malconcio, disarcionato, sconfessato anche da una parte dei suoi, ma presente in campo; dall’altro, l’homo novus Matteo Renzi si sta rivelando quello che è: un ragazzotto ambizioso, buon comunicatore sì, ma più attento a ciò che piace alla pancia della gente che al loro cervello.

Scelta Civica ora scelga

Come se non bastasse, per un partito che pretende di essere la sentinella della Ue in Italia, è venuto il momento di scegliere, questa volta, per un bipolarismo vero come quello che distingue e divide, nell’Unione, i Popolari e i Socialisti, pronti a fare accordi se le circostanze lo impongono, ma ben determinati a difendere ciascuno la propria identità.

Il futuro dei montiani

Che cosa succederà ora in Scelta civica? In teoria è il caso di aspettarsi, al più presto, la convocazione dell’Assemblea nazionale per decidere la linea, ben sapendo che emergeranno le medesime divisioni che hanno attraversato i gruppi parlamentari (nei giorni scorsi sono stati  alcuni deputati “diversamente orientate” dai loro colleghi senatori, a prendere una posizione contraria alla ‘’deriva’’ popolare). In un partito tradizionale verrebbe convocato un congresso straordinario.

Un partito apartito

Ma in Scelta civica il partito non esiste, non vi sono sedi, è stato appena avviato, sulla carta, il tesseramento. E non si è mai visto qualcuno che si iscriva ad un partito in cui, prima ancora di essere tale, sono presenti due linee, destinate a non convivere neppure se una dovesse conquistare  la maggioranza. Tanto vale starsene fuori a vedere come va a finire.

La regia

A valutare bene gli eventi  che hanno determinato questo patatrac è visibile una regia: gli 11 senatori non avevano alcun bisogno di dichiarare la loro obbedienza cieca ed assoluta al governo e di difendere acriticamente una manovra che piace in Europa non per quello che fa ma per quanto non fa (quindi neppure danni). Nessuno a Bruxelles si aspettava dalla legge di stabilità italiana un’impennata riformistica in un crescendo di violini. Tutti temevano che il governo – come ha fatto fino ad ora – fosse accondiscendente nei confronti delle pretese dei due maggiori partiti della sua maggioranza. Ma neppure Mario Monti aveva proferito delle critiche insostenibili al disegno di legge. I “magnifici 11” (the best  eleven, per dirla all’inglese) hanno calcolato con freddezza la loro prima mossa. Auguriamoci che sappiano compiere anche la seconda. Di tutto c’è bisogno fuorchè di apprendisti stregoni.


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