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Vi spiego perché lo spionaggio stile Nsa è un male necessario. Parla l’ambasciatore Lenzi

Dopo Italia e Germania lo scandalo Datagate è arrivato in Francia, trascinando con sé un’ampia dose di recriminazioni e veleni che infiamma ulteriormente i rapporti transatlantici.
Tuttavia, ciò che accade non è altro che una nuova fase del costante braccio di ferro tra i governi, chiamati a tutelare la sicurezza dei propri cittadini, e la loro privacy, messa talvolta a repentaglio da questo controllo.
Si spiega così – secondo l’ambasciatore Guido Lenzi, già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’OSCE a Vienna – il programma di controllo della National Security Agency americana. L’ambasciatore Lenzi, in una conversazione con Formiche.net, definisce il programma “un male necessario“.

Ambasciatore, le rivelazioni di Snowden possono compromettere i rapporti tra Usa ed Europa?
Non credo si debba ingigantire quello che sta accadendo. Le attività di spionaggio e controllo rientrano nell’ordine delle cose, anche tra Paesi amici.

Sono in molti a chiedersi perché gli Stati Uniti spiino in modo così intenso i propri alleati? Solo in Francia si parla di 70 milioni di telefonate in un mese.
Senza dubbio ci sono delle esagerazioni in quanto è successo, come spesso accade quando si ha a che fare con gli americani. Per tanti anni abbiamo affidato agli Usa il compito di tutelare la nostra sicurezza. Tutti i Servizi del Vecchio Continente, non solo quelli italiani ma anche quelli francesi, sono dipendenti da quelli Usa, che hanno una rete molto più ampia ed efficace della nostra. A questo va sommato l’effetto del maggiore controllo scattato dopo quello che è accaduto l’11 settembre 2001, un evento nel quale noi europei non riusciamo a immedesimarci totalmente. Per questo dico che l’opera di sorveglianza americana è senz’altro più grande del dovuto, ma solo per eccesso di zelo, non per manie persecutorie o per sfiducia nei confronti dei suoi alleati. Con cui, anzi, in primo luogo con il nostro Paese, i rapporti sono eccellenti.

Le Monde ha sottolineato anche l’esistenza di un programma francese di spionaggio, rivolto proprio agli americani. Come commenta allora le dichiarazioni dei politici d’Oltralpe?
Ipocrite, sicuramente. Ma non sono i soli ad avere un doppio volto. Il problema è che bisogna essere chiari con l’opinione pubblica. Quello che è accaduto è deplorevole? Senz’altro sì. Poteva essere evitato? No. Perché la tutela della sicurezza e dei nostri valori passa anche attraverso piccole rinunce. Una consapevolezza che gli americani hanno acquisito nella quotidiana lotta al terrorismo e alla quale anche noi, con le dovute differenze culturali, dovremo abituarci.

Cosa pensa di chi dice che questo tipo di spionaggio – che pesca nel mucchio – sia meno invasivo delle intercettazioni mirate che vengono realizzate quotidianamente per ordine dei tribunali?
Che hanno perfettamente ragione. È un problema mondiale ma che circoscritto all’Italia assume una dimensione paradossale. Ci si lamenta di un controllo effettuato a caso, quando per anni le nostre cronache sono state inquinate dalla pubblicazioni di dettagli di vita personale non solo da non diffondere, ma ininfluenti dal punto di vista penale. Tutto ciò è tristemente ironico.

Allora come valutare quanto accaduto?
Come la dimostrazione della validità dei nostri sistemi. La democrazia comporta anche fenomeni di violazione della medesima, che poi vengono esposti, quindi resi pubblici e trasparenti. Ed è normale che subisca una fase di compressione a cui seguono le valvole di sfogo di episodi come quelli a cui assistiamo. I processi democratici non sono fermi o scontati, ma vanno continuamente alimentati. Credo che l’Occidente, con tutti i possibili incidenti di percorso del caso, ci stia provando e riuscendo.


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