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I colpi di fioretto di Guzzetti, Patuelli e Visco

Agganciare la ripresa economica internazionale aiutando famiglie e aziende nella cornice del risanamento dei conti pubblici. Salvaguardando il ruolo di banche, fondazioni e Cassa depositi e prestiti. È la nota che ha accompagnato l’89esima Giornata Mondiale del Risparmio, promossa dall’Associazione delle Fondazioni bancarie e delle Casse di risparmio italiane, nel Palazzo della Cancelleria a Roma. L’iniziativa, intitolata “Risparmio volano della ripresa produttiva”, fa emergere fenomeni molto significativi: la propensione al risparmio è aumentata dell’1 per cento nell’ultimo anno, a svantaggio dei consumi; gli investimenti si sono concentrati su depositi postali e titoli del debito pubblico rispetto al mattone e ai beni immobiliari; le famiglie hanno rappresentato un surrogato formidabile del Welfare in via di disgregazione.

L’apologia di Guzzetti del ruolo delle fondazioni bancarie

Per il numero uno di ACRI Giuseppe Guzzetti, fattori cruciali per far rinascere il tessuto economico-sociale sono Cassa depositi e prestiti e la galassia delle fondazioni bancarie. Le quali oltre 10 anni fa scelsero di entrare nel capitale di CDP grazie a un cospicuo investimento che le ha portate al 20 per cento del controllo dell’istituto di finanza pubblica. Nello stesso arco di tempo la Cassa ha immesso risorse per 70 miliardi finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali di interesse generale, e per il prossimo triennio si prevede un intervento per 80-90 miliardi. Con effetto positivo in chiave anti-ciclica. “È la trasformazione di CDP – rileva – in motore di sviluppo strategico da prestatore di liquidità per gli enti locali. Pur mantenendo il rigore e la logica imprenditoriali nell’uso del risparmio postale dei cittadini. Come dimostra il suo comportamento. esemplare nella vicenda Alitalia”.

Ma è nella difesa oltranzista delle fondazioni il cuore dell’intervento del numero uno di CARIPLO. “Abbiamo contribuito al rinnovamento e risanamento della foresta pietrificata degli istituti di credito, che nel 1990 gravitavano per oltre due terzi nella sfera pubblica. Grazie al ruolo delle fondazioni è stata possibile la loro trasformazione in società per azioni che ne ha accresciuto dimensione e proiezione europea, a partire da Intesta San Paolo e Unicredit”. Ai critici “privi di memoria e animati da pregiudizi”, il banchiere ricorda che esse “hanno svolto un compito di supplenza rispetto agli istituti creditizi più esposti e vulnerabili alle tempeste dei mercati finanziari. Punto di riferimento solido e di lungo termine, nelle banche di cui sono azioniste le fondazioni hanno immesso negli ultimi 5 anni 7,3 miliardi di euro. Al punto che le banche italiane non hanno dovuto ricorrere al supporto pubblico – i Tremonti e Monti bond sono stati limitati e subito restituiti tranne i 4 miliardi di Mps provocati dalle scelte di pochi amministratori infedeli – al contrario di quanto accaduto in Germania, Belgio, Olanda, Spagna, Irlanda, Usa”.

Tutto ciò, rimarca il numero uno dell’ACRI, non ha comportato il  mantenimento di posizioni di potere, poiché gli investimenti finanziari delle fondazioni sono stati orientati alla valorizzazione delle piccole casse di risparmio presenti sul territorio, al Terzo settore, all’edilizia sociale, alla ricerca scientifica, alle opere infrastrutturali, alla cultura. Poi l’affondo contro le accuse di rappresentare l’anello di congiunzione tra finanza e politica: “Vi sfido a portare le prove che nei consigli di amministrazione di Intesa San Paolo, Unicredit e Ubi vi siano esponenti di partito”.

Il patto etico e fiscale proposto dall’ABI

Più focalizzato sul terreno fiscale è il ragionamento del presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli. Il quale chiede “più rispetto per il risparmio che è la base del circuito produttivo, frutto di lungimiranza e utilizzo parsimonioso delle risorse in contrasto con gli eccessi di spesa e l’enorme debito pubblico accumulato in mezzo secolo. Merita rispetto perché ha sostenuto e sostiene gran parte del debito limitandone volatilità e spread”. Una risorsa preziosa, spiega il numero uno dell’ABI, che deve essere orientata verso attività produttive per famiglie e aziende – investimenti azionari e negli immobili – anziché verso liquidità e alto rischio in mercati lontani. Ma per farlo “bisogna fornire ai risparmiatori garanzie etiche e fiscali invece di spaventarli con minacce e realizzazioni di tributi patrimoniali. E creare un clima fiscale favorevole all’arrivo di capitali internazionali”.

Per questo motivo l’ex parlamentare liberale critica l’innalzamento del prelievo sulle transazioni finanziarie dal 12,5 al 20 per cento, “che ha l’unico effetto di scoraggiare l’erogazione del credito a famiglie e aziende”. A suo giudizio poi non è ammissibile demonizzare le banche italiane per le responsabilità di una crisi che viene da lontano e che porta 1 milione 167mila le famiglie e imprese clienti in sofferenza, di cui ben 982mila per cifre inferiori a 125mila euro. “Perché gli istituti di credito hanno rafforzato i capitali ricorrendo agli azionisti, rivisto i centri di spesa, razionalizzato le partecipazioni. Senza aver ricevuto un euro a fondo perduto da parte di autorità pubbliche e con margini di redditività ridotti all’osso a fronte di una scarsa capitalizzazione delle aziende”.

Il monito di Bankitalia al mondo creditizio

Ma un’esortazione agli istituti di credito a tagliare costo del lavoro e remunerazione dei dirigenti giunge dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Per recuperare redditività, osserva il numero uno di Via Nazionale, le banche hanno l’obbligo di ridurre un onere che rappresenta oltre la metà delle uscite complessive: “Pur non essendo responsabili della crisi finanziaria, soffrono di ritardi e negligenze nell’adeguare operatività, efficienza, qualità dei servizi. E devono proseguire gli sforzi volti a riconquistare il pieno accesso ai mercati internazionali. Perché il ricorso massiccio alla liquidità della BCE non può costituire una modalità permanente di finanziamento”. Compito tanto più nevralgico, puntualizza il governatore, alla luce del clima di incertezza che avvolge i timidi segnali di fiducia e di ripresa dell’Italia: a un arresto della caduta del PIL nel terzo trimestre dovrebbe seguire nel quarto un ritorno a una crescita modesta. Nell’estate si è attenuato il calo della produzione industriale e metà delle imprese riferisce di aver superato la fase più critica, tranne le aziende più piccole e meno orientate alle esportazioni”.

Il capo del Tesoro contro i nemici della manovra

All’orizzonte della graduale ripresa mondiale e alla possibilità per il nostro paese di agganciarla dopo una tempesta senza precedenti guarda il responsabile dell’economia Fabrizio Saccomanni. Il quale manifesta un cauto ottimismo per il futuro: “Il PIL da -1,8 del 2013 arriverà a un +2 per cento nel 2017, quando lo spread rispetto ai titoli di Stato tedeschi dovrebbe raggiungere i 100 punti. Finora il governo ha realizzato interventi per 12,5 miliardi, erogando 22 miliardi alle pubbliche amministrazioni debitrici che hanno restituito ai creditori 13,8 miliardi”. Ma la promozione dell’attività produttiva, spiega il capo del Tesoro, deve andare di pari passo con il risanamento dei conti pubblici e la riduzione considerevole del passivo di bilancio: “Perché ogni allentamento nella disciplina finanziaria si rifletterebbe sul costo del debito che aumenterebbe di 3 miliardi nel primo anno e di 15 nel lungo termine”. Il tasso del deficit annuale dunque deve restare entro la soglia del 3 per cento del PIL e il disavanzo strutturale deve tendere verso il pareggio.

È in tale cornice che si inquadra una manovra imperniata su tre pilastri: “Rimodulazione del baricentro della spesa dalle uscite correnti, rimaste stabili nel 2013, agli investimenti a favore della competitività delle aziende, delle fasce più deboli della popolazione, dei settori strategici come energia, trasporti e tecnologie dell’informazione. Comparti in cui assumono un ruolo determinante la BEI e CDP. Revisione permanente della spesa grazie a un progetto di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di ripensamento dei livelli di governo e dell’efficienza nella Pa, nell’educazione, nella sanità e nella giustizia civile. Riduzione della pressione fiscale a partire dal cuneo tributario sul lavoro. Il che equivale nel triennio 2014-2016 a sgravi fiscali per 16,5 miliardi, che porteranno il prelievo tributario dal 44,3 per cento attuale al 43,7 nel 2016”.

Riconoscendo che risparmi più radicali potrebbero accelerare e rendere più rilevante la riduzione delle tasse, l’esponente del governo ricorda ai critici della legge di bilancio che “la nostra prudenza è naturale con il macigno del debito pubblico italiano, ma rappresenta un punto di svolta”. E al Parlamento “che può migliorare la manovra” consiglia di attenersi alle raccomandazioni Ue contro i disavanzi eccessivi. Oltre a “superare la perdurante instabilità politica”.



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