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I Servizi italiani visti dagli 007 stranieri

Il caso Datagate ha reso pubblica non solo la portata del controllo che i servizi segreti americani ed europei svolgono sulle comunicazioni dei cittadini, ma ha contribuito a stilare una vera a propria classifica dell’operato degli 007 coinvolti.

CONFUSIONE TRICOLORE
E non è un giudizio lusinghiero quello che il Government Communications Headquarters, – l’agenzia governativa britannica che si occupa della sicurezza, nonché dello spionaggio e controspionaggio, nell’ambito delle comunicazioni – assegna ai Servizi italiani.
Secondo il Guardian, che ha pubblicato nuovi documenti forniti da Edward Snowden, il Gchq, la National security agency britannica, “aspettava una risposta dall’Aisi su una proposta di collaborazione, gli italiani sembravano entusiasti, ma ostacoli legali potrebbero aver impedito loro di impegnarsi“.
Gli 007 britannici avevano poi contattato sia l’agenzia interna, che l’Aise, quella esterna, per parlare di attività di “antiterrorismo” e avevano constatato “una frattura all’interno dei servizi italiani” che vengono definitiincapaci/non disposti a collaborare gli uni con gli altri“.

LA DIFESA ITALIANA
La replica di Roma non si è fatta attendere. Fonti italiane di intelligence, interpellate sull’articolo, hanno spiegato che la fase a cui ci si riferisce è quella dell’avvio e della messa in opera della recente riforma dei Servizi iniziata nel 2007 e recentemente conclusa.
Anzi, sottolineano, i documenti di Snowden “chiariscono” che i Servizi italiani “sono più garantisti” di quelli di altri Paesi e che “non sono disponibili ad andare al di là di quanto previsto dall’ordinamento“. In Italia, viene ribadito, ci sono “limiti legali e stringenti” che sono “indubbiamente un fattore di garanzia e rendono non attuabili qui intercettazioni massive su grandi flussi di traffico“.

LA COLLABORAZIONE DI ROMA
Limiti che non avrebbero comunque evitato altre forme di collaborazione con la Nsa, dalla concessione dell’utilizzo dei cavi sottomarini in fibra ottica che vedono nella Penisola uno dei sei snodi mondiali di comunicazioni digitali, ai dettagli con cui il reporter Glenn Greewald, uno dei custodi dei file trafugati dalla talpa americana, ha spiegato al settimanale L’Espresso il ruolo attivo dell’Italia nella macchina dello spionaggio mondiale.

UNA RETE EUROPEA
Ma sarebbero state proprio quelle barriere legali a impedire che 5 anni fa, come testimonia il quotidiano britannico, l’Italia facesse parte di una vera e propria rete europea di sorveglianza di massa delle comunicazioni, costruita da Germania, Francia, Spagna e Svezia con l’aiuto del Gchq.
Con buona pace di Berlino (e la soddisfazione degli Usa, che l’hanno ripetuto recentemente in un’audizione al Senato del direttore della National Intelligence, James Clapper), emerge come quello del “Grande Fratello” non sia un copyright americano, ma che anche i Paesi del Vecchio Continente siano colpevoli protagonisti di una rete di spionaggio andata ben oltre i limiti della privacy, dove – evidenziano alcuni osservatori – “vittime e carnefici” sembrano ora confondersi in un quadro sempre più caotico e inquietante.


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