E’ stato presentato ieri a Roma, nel rettorato della chiesa di San Stanislao, “Ho vissuto con un Santo” (Rizzoli, 155 pp., euro 17), il nuovo libro del cardinale Stanislaw Dziwisz frutto di una conversazione con il vaticanista Gian Franco Svidercoschi. All’incontro erano presenti, oltre a Svidercoschi, lo storico Andrea Riccardi, il cardinale Camillo Ruini e monsignor Paolo Ptasznik, per anni stretto collaboratore di Giovanni Paolo II e ora responsabile della sezione polacca della segreteria di Stato.
E’ stato quest’ultimo a parlare per primo, ricordando il tempo speso in compagnia di Karol Wojtyla. Fino all’ultimo, quando il Papa polacco disse “cosa mi avete fatto” non appena si accorse che gli era stata praticata la tracheotomia. Ma fu un attimo, subito seguito dal “Totus tuus”, inscritto nel motto episcopale. Monsignor Ptasznik ha alzato il velo su alcune abitudini di Giovanni Paolo II, che si confessava ogni due settimane e che non rinunciava mai all’ora di Adorazione eucaristica del giovedì, neppure quand’era in viaggio.
Le analogie tra Giovanni Paolo II e Francesco
Un Papa nuovo, scrive nel libro il cardinale Dziwisz: “Fin dall’inizio, Karol Wojtyla fu un Papa diverso. Diverso perché era il primo Pontefice non italiano, dopo quasi cinquecento anni. E già questo, per molti, rappresentò una novità addirittura traumatica. Fu un Papa diverso anche per il modo in cui interpretò il ruolo di Pietro. un modo nuovo, ma che si rifaceva a quanto aveva affermato il Concilio Vaticano II, nella costituzione Lumen gentium, recuperando il principio della collegialità episcopale. Non solo, si richiamava anche al primo millennio della comunità cristiana, quando la chiesa di Roma, unita attorno al suo vescovo, presiedeva nella carità tutte le altre chiese locali”. Forte analogia in questo, dunque, con Papa Francesco. Un aspetto che è stato sottolineato anche dal cardinale Ruini: “Personalmente, sono colpito dalla somiglianza che riscontro tra Giovanni Paolo II e Papa Francesco nel sentirsi anzitutto vescovo di Roma e nel vivere intensamente e quotidianamente questo ministero”.
“Quella del Papa polacco era vera leadership”
Su un punto, però, l’ex vicario dell’Urbe è chiaro: “Sarebbe un grosso abbaglio individuare nei limiti dell’azione di Giovanni Paolo II per la riforma interna della chiesa il segno di una scarsa incidenza concreta del suo pontificato. In realtà – ha aggiunto Ruini – il suo influsso e la sua eredità sono stati e rimangono giganteschi”. Wojtyla, prosegue l’attuale arcivescovo di Cracovia creato cardinale da Benedetto XVI (nonostante gli apprezzamenti e la manifestazione di “gratitudine” emerge una certa freddezza nei confronti del Pontefice emerito, “più che il capo gerarchico di una chiesa, si sentiva un pastore, un vescovo. A lui interessava annunciare la Buona Novella, promuovere una nuova mobilitazione spirituale del mondo cattolico”. Wojtyla e la teologia della liberazione Eppure, la sua “era vera leadership”, ha sottolineato Andrea Riccardi: “Giovanni Paolo II aveva la capacità di valorizzare le persone per quello che erano, riuscendo a mettere insieme persone che non lo sarebbero mai state”.
Wojtyla e la teologia della liberazione
Interessante, nel libro la parentesi dedicata alla Teologia della liberazione. Scrive Dziwisz che “contrariamente a molti commenti di allora, il Papa non condannò affatto la teologia della liberazione. Ne denunciò – e non avrebbe potuto fare altrimenti – le degenerazioni, i gravi equivoci. Il marxismo, sostenitore della lotta di classe, di una rivoluzione violenta, non poteva certo venire adottato come soluzione per i mali dell’America latina. Oltrettutto – aggiunge – c’era il pericolo molto realistico che la medicina potesse dimostrarsi più dannosa della malattia stessa.
L’Ostpolitik e i contrasti con Casaroli
Un capitolo molto interessante è quello sui rapporti con il comunismo e la strategia attuata dalla Santa Sede nei primi anni di Pontificato, con la nuova Ostpolitik inaugurata dopo gli anni di Paolo VI. Secondo l’arcivescovo di Cracovia, “il Santo Padre aveva fiducia nel cardinale Agostino Casaroli (Segretario di stato dal 1979 al 1990) e nella Segreteria di Stato, tuttavia non ne condivideva la politica verso l’Est. Lui conosceva bene il comunismo dal di dentro, e aveva sperimentato personalmente i mali di cui era capace. Perciò, riteneva fosse necessario un radicale cambiamento di linea. Chiese che, in ogni eventuale futuro accordo con i paesi comunisti, la Santa Sede esigesse il rispetto dei diritti fondamentali propri della persona umana: diritto alla libertà di parola e di idee, diritto alla libertà di coscienza, diritto a un maggiore e più adeguato spazio per il culto divino”.