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Pdl, Popolo della litigiosità

Qualche ex falco, ora lealista, lo dice chiaramente: qui non è solo una questione di liti o di veti, ma di opportunità politica da un lato e di strategia suicida dall’altro. Perché se il Senato, come probabile, voterà per la decadenza di Silvio Berlusconi, come potranno i pidiellini al governo rimanere impassibili nel sedere al tavolo del medesimo CdM con chi ha votato quel sì? E ancora, non sarà che qualche ministro azzurro ha già in tasca rassicurazioni precise su un futuro deberlusconizzato, (quindi rimanere nell’esecutivo almeno fino al 2015), ma con il rischio di consegnare a Matteo Renzi Palazzo Chigi? In attesa del consiglio nazionale del prossimo 16 novembre che dovrà decidere sul ritorno a Forza Italia, nel partito si continua a discutere e a dividersi.

Caminetti e rinunce
E’ il mantra che circola con insistenza nei caminetti delle due fazioni pidielline. Da un lato i governativi alfaniani, secondo cui il governo delle larghe intese deve andare avanti, così come prescritto dal Capo dello Stato. Per cui, in caso di fughe in avanti da parte dello stesso Cavaliere, così come hanno ampiamente dimostrato lo scorso 2 ottobre, ci sono i numeri per assicurare la fiducia al governo. Ma non è tutto, perché un momento dopo si aprirebbe la prateria dell’approdo popolare. Dall’altro la definizione ufficiale della data del Consiglio (tra dieci giorni), almeno in apparenza, fa presagire una strada tutta in discesa per per Raffaele Fitto, Denis Verdini e Sandro Bondi. Come conferma il tentativo andato in scena ieri per una ultima mediazione fatto a pranzo dall’ex ministro Altero Matteoli: ma pare fallito per precisa presa d’atto del cavaliere.

Resa dei conti?
Tra gli alfaniani, due ministri in modo particolare, Gaetano Quagliariello e Beatrice Lorenzin, non solo si sentono intimamente fuori dall’inner circle berlusconiano, ma di fatto già lo sono. Come dire che se anche, come non è probabile, la spaccatura dovesse in zona Cesarini ricomporsi, loro sarebbero comunque di un’altra partita. Troppo forti le frizioni degli ultimi mesi sfociate anche in attacchi personali, tali da non consentire marce indietro di sorta. Alla voce scontri vanno elencati quelli noti tra ad esempio il liberale Giancarlo Galan e i tradizionalisti come lo stesso ministro delle Riforme o il ciellino Maurizio Lupi, con quest’ultimo in verità nel ruolo di pontiere negli ultimi giorni, nel tentativo disperato di cercare responsabilmente un’estrema pace.

Le richieste
L’ala dei cosiddetti ministeriali non transige: non solo chiede le chiavi di un partito non “forzista” ma di dialogo con il centro e le larghe intese, ma anche l’allontanamento dei falchi nel Parlamento e nei giornali di area. Ma c’è una variabile che si aggira, indipendente e autonoma, attorno al quadro politico azzurro e si chiama Matteo Renzi, quasi segretario del Pd. A cui andare a votare, forse, non dispiacerebbe poi troppo.

twitter@FDepalo


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