Il terzo salto mortale, dopo che dal Pdl si sono staccati negli ultimi due anni i finiani di Fli e i Fratelli d’Italia di Meloni e la Russa. Non sono giorni semplici per chi la cassa del partito azzurro gestisce da sempre. Quel Maurizio Bianconi chiamato ad una vera e propria impresa economico-finanziaria, ma che fa saltare agli occhi il macrodato di tutta questa faccenda: ovvero come mugugni e fughe in avanti non siano solo figlie di posizionamenti politici, ma (forse) anche di beaucoup d’argent.
PATRIMONI E DEBITI
Un conflitto intenso e prolungato, che travalica le scelte spiccatamente politiche. Quando mancano pochissimi giorni al Consiglio nazionale di sabato prossimo che scriverà la parola fine sul caos del Pdl, il mantra sembra essere: uniti oppure si resta a bocca asciutta. Perché, se da un lato è ormai cosa certa che Silvio Berlusconi pensionerà anticipatamente il Pdl per rimettere ufficialmente in pista Forza Italia, è alla voce “risorse” che potrebbero esserci grosse novità. Nel senso che chi non si uniformerà alla decisione del Cn non solo rimarrà fuori dall’inner circle berlusconiano (gli alfaniani, di fatto, già lo sono) ma non avrà le risorse che il cavaliere in persona continua ad assicurare. Da alcune settimane, per dirne una, le famose fidejussioni (da 110 milioni) che consentono alle disastrate casse pidielline di non portare i libri in tribunale, sono state personalmente spostate dall’ex premier sulla nuova Fi. A ciò si aggiunga che una minima percentuale di eletti è in regola con i contributi del tesseramento (il primo a pagare – si dice l’unico – è stato l’eurodeputato pugliese Sergio Silvestris).
IL MURO DI BIANCONI E CRIMI
Ragion per cui un vero e proprio muro è stato eretto da chi gestisce i cordoni della borsa: Maurizio Bianconi e Rocco Crimi. Chi è contro Berlusconi non avrà né denaro né accesso al simbolo e il countdown terminerà proprio sabato prossimo, quando il Pdl smetterà i panni di entità politica e rimarrà sospeso solo per incassare i circa 18 milioni di rimborsi elettorali per il 2016-2018.
SE VINCE ALFANO
Nel caso in cui la maggioranza delle firme dei delegati al Cn venisse raggiunta dal vicepremier, allora il partito non avrà più il suo presidente-fondatore, la sua ragione sociale e di conseguenza l’accesso alle risorse con cui andare avanti. Ecco perché, sin da quando la scorsa estate da Arcore si era iniziato a progettare la struttura di Forza Italia, una prima proposta spiccatamente berlusconiana era stata di sostituire i coordinatori regionali con un «fund-raising» di sostenitori che ogni mese dovrebbero (così come i manager dei grandi gruppi industriali privati) “portare a casa” dei risultati in termini di pecunia raccolta. Pena la decadenza dalla carica, elemento che tra l’altro ha messo in moto già da allora i contatti sui territori dei singoli coordinatori.
I CONTI IN PASSIVO
Ad oggi il Pdl accusa nove milioni di debiti di fornitori, le spese del Cn di sabato (10-15 mila euro), il residuo di gestione fino alla nascita di Forza Italia. Senza contare le spese del personale, quelle delle sedi e quelle generali tra cui spicca il prestito, ottenuto da Berlusconi, per sostenere le spese della manifestazione di Piazza del Popolo. Ma la notizia è soprattutto la singolare coincidenza di contingenze politiche e finanziarie tra il partito berlusconiano e la destra italiana, accomunati da un destino governativo comune sino a pochi anni fa. Ed oggi nuovamente simili perché alle prese con un tesoretto da gestire o da spartirsi. Con i consueti e diffusi veti, controveti e tentativi di qualcuno di non rimanere a bocca asciutta.
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