La Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro la Germania. Il Paese guidato da Angela Merkel ha accumulato, nella media degli ultimi tre anni, partite correnti con un surplus superiore al 6% del Pil, violando le norme stabilite da Bruxelles, che si prepara ad aprire un’indagine.
Un’iniziativa che raccoglie il plauso dei Paesi periferici – stanchi di essere gli unici imputati dell’eurorecessione – ma che soddisfa anche Washington, che nell’ultimo rapporto semestrale sulle valute del Tesoro Usa aveva posto l’accento proprio sulla lesività delle politiche di Berlino incentrate sull’export. Ma c’è davvero da festeggiare?
Non troppo secondo David Carretta, corrispondente dalle istituzioni europee di Radio Radicale e collaboratore del Foglio e del Messaggero, che nella decisione di Bruxelles intravede solo un modo per tenere buoni i Paesi in difficoltà come Francia e Italia, continuando a gestire l’Europa secondo le aspirazioni tedesche. Il tutto a sei mesi dalle elezioni europee che potrebbero premiare movimenti e partiti populisti contrari all’attuale gestione della moneta unica.
Come valuta la decisione di ieri di Bruxelles sul surplus tedesco? È davvero rilevante e storica come ritiene qualcuno?
È una decisione eminentemente politica. A sei mesi dalle elezioni europee, la Commissione ha dato una sculacciata al primo della classe per non scoraggiare gli ultimi dell’euro. Lo stesso commissario Rehn sa benissimo che non porterà da nessuna parte per ragioni economiche e legali. Sul piano economico, gran parte del surplus tedesco deriva dalle esportazioni fuori dalla zona euro. L’argomento che l’euro forte indebolisce le prospettive di ripresa dei Paesi periferici può avere senso. Ma se si guarda all’andamento storico dell’euro, il valore della moneta europea non è sopra la media. Inoltre, un euro debole rischia di rendere ancora più forte la Germania ai danni dei periferici.
Pensa che sia il segno di un’inversione di tendenza della Commissione?
Il presidente Barroso e il commissario Rehn hanno immediatamente cercato di placare la prevedibile polemica con i tedeschi spiegando che continuano a volere “Più Germanie in Europa” e che “gli altri diventino come la Germania”. La Commissione non ha cambiato rotta: ha approfittato dei colloqui tra Merkel e i socialdemocratici per formare un governo di grande transizione – colloqui che prefigurano una politica economica più orientata ad aumentare la domanda interna – per dare un contentino al campo degli invidiosi dell’euro. I governi di Italia e Francia potranno dire ai loro elettori che anche la Germania è sotto esame, illudendosi di poter dimenticare per qualche ora i loro gravi problemi economici e finanziari. Ma sul piano legale, la Commissione nel 2011 ha pubblicato una Dichiarazione nella quale ha garantito un trattamento “differenziato” tra i Paesi che registrano un surplus del conto corrente, come la Germania, e quelli in deficit, come la Francia. Tradotto: la Germania non sarà mai sanzionata.
Ritiene che con la decisione di ieri i Paesi periferici possano comunque essere soddisfatti oppure che quella di ieri segni ulteriormente la strada per una presenza ancora più incisiva o intrusiva secondo alcuni di Bruxelles su conti pubblici e squilibri macroeconomici?
Presenza incisiva o intrusiva? Le motivazioni con cui la Commissione ha lanciato la sua indagine approfondita sull’Italia sono praticamente una fotocopia di quelle dello scorso anno: gli squilibri sono sempre gli stessi da tre anni, perché la verità è che nessuno segue le raccomandazioni di politica economica di Bruxelles in quanto politicamente troppo dolorose nel breve periodo. La Legge di Stabilità per il prossimo triennio non rispetta gli obiettivi di deficit strutturale concordati con la Commissione.
Anche Parigi strepita per gli ammonimenti di Bruxelles…
Il governo Hollande è paralizzato sulle riforme, mentre sul deficit sarà necessario un altro rinvio, dopo quello di due anni già concesso da Rehn. Nessun Paese è mai entrato nel “braccio correttivo” della procedura per squilibri macro-economici, nonostante nove Stati membri dell’Unione europea abbiano chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale. Nessun Paese, con l’eccezione dell’Ungheria per tre mesi e per una manciata di aiuti europei, è stato mai sanzionato nella procedura per deficit eccessivo. La Commissione sta recitando il ruolo del superpoliziotto, ma nei fatti non può nemmeno rivendicare il ruolo di vigile urbano. Poi un giorno arriverà il vero gendarme, che sono i mercati finanziari e gli investitori nel debito sovrano di Italia e Francia, e saranno guai seri.
Ma in Europa chi ha più peso: Bruxelles, dunque la Commissione, o Francoforte, ovvero la Bce di Mario Draghi?
La nuova governance economica della zona euro manca totalmente di credibilità, perché non c’è la volontà politica di applicare le regole. Né a Bruxelles, né nelle capitali. Solo la Banca centrale europea sta assumendo seriamente le sue responsabilità di governance economica e finanziaria, imponendo un approccio credibile sugli stress test sulle banche e sui meccanismi di risoluzione per gli istituti in crisi. Ma la serietà della Bce rischia di essere compromessa dagli accordi politici delle prossime settimane sulla Risoluzione Unica: né Roma, né Parigi, né Berlino hanno interesse a fare pulizia seria nel loro sistema bancario.