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Il Fatto Quotidiano mette in croce Giani

Il Fatto Quotidiano continua a far tremare le mura vaticane. Dopo aver posto l’accento sull’incolumità del Pontefice a seguito del nuovo corso di trasparenza intrapreso da istituzioni finanziarie come lo Ior, oggi il giornale mette in dubbio l’effettiva efficienza degli organi di sicurezza al suo servizio. Lanciandosi in maliziose congetture sugli uomini chiamati a vigilare sulla sua persona, come Domenico Giani, direttore della Gendarmeria Vaticana, proprio nel giorno della visita di Papa Francesco al Quirinale.

LE RIVELAZIONI DI GRATTERI
Ieri, intervistato da Beatrice Borromeo sulle pagine del giornale diretto da Antonio Padellaro, era stato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri a sostenere che Papa Francesco potesse essere in pericolo a causa della sua opera di rinnovamento dei centri di potere della Santa Sede, che avrebbe indispettito molti ambienti, a cominciare da quello della criminalità organizzata.

LE OMBRE SU GIANI
Oggi invece è Marco Lillo a tornare sull’argomento, con un pezzo che si chiede se gli uomini che “vegliano sulla sicurezza di papa Francesco” siano “all’altezza del compito in un momento così delicato“.
All’interno del Vaticano la protezione del Pontefice è compito della Gendarmeria Vaticana, diretta da Giani, ex finanziere di Arezzo, poi passato ai servizi segreti civili italiani e dal 1999 alle dipendenze del Papa. “A difendere il Papa dalle minacce, anche quelle della ‘ndrangheta paventate dal pm Nicola Gratteri – scrive il cronista investigativo del Fatto – è questo… comandante“. Che su di lui aggiunge: “se l’acume e il fiuto sono quelli testati nel caso di monsignor Nunzio Scarano, non c’è da stare tranquilli“.
Giani – insiste Lillo – “non ha fiutato alcun pericolo nel trattare” col monsignore e, stando a quanto emerge dagli atti dell’inchiesta dei pm Stefano Fava, Stefano Pesci e Nello Rossi, “non ha giocato contro di lui ma in suo favore“.

IL CASO IOR
Il riferimento è alle vicende della banca vaticana, quando, secondo il Fatto, “basta ascoltare le telefonate intercettate per capire che Giani non mira a sgominare il traffico dalla Svizzera all’Italia, né immagina che passi per lo Ior e per Scarano“. Il nodo è, per Lillo, quello dei “traffici orditi dallo 007 Giovanni Zito e dal broker Giovanni Carenzio per far rientrare 20 milioni di dubbia provenienza dalla Svizzera. Quando il piano fallisce, Zito pretende e ottiene dal monsignore un assegno di 400 mila euro a copertura delle spese affrontate. Il comandante della Gendarmeria – prosegue il giornalista – prende per buona la versione di Scarano e usa il suo potere per aiutarlo a riavere i 400 mila euro sfruttando l’azione della Polizia italiana“. Senza comprendere “il vero punto della questione: l’operazione di rimpatrio dei capitali che i due ex amici (Scarano e Zito) hanno condiviso a monte della lite“.


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