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Ecco il nuovo centrodestra secondo Berlusconi

Marciare divisi per colpire uniti. Certificata la separazione con parlamentari e ministri dell’ex Popolo della libertà guidati da Angelino Alfano, Silvio Berlusconi vagheggia una grande alleanza del centro-destra nel segno della molteplicità delle voci. Una riedizione della Casa delle libertà che si rivolge in primo luogo alla nutrita pattuglia delle “colombe governative”. Ma che si allarga alla galassia della destra e al mondo inquieto del Carroccio. È questa la speranza, che oggi appare velleitaria, coltivata da Silvio Berlusconi all’indomani della rottura traumatica tra le due anime del PDL e resa pubblica nel corso del Consiglio nazionale della rinata Forza Italia celebrato al Palazzo dei Congressi di Roma. Assise chiamate a ratificare il documento approvato dall’Ufficio di presidenza del partito del 25 ottobre. È il capogruppo dei deputati Renato Brunetta ad annunciarne l’esito con voce tonante: “Presenti 613 membri su 870 aventi diritto. L’assemblea approva il testo all’unanimità”.

Il richiamo retorico alle origini

Ritorna Forza Italia dunque. Almeno nei simboli e nelle figure evocate, il riferimento è ai “principi originari del 1994”. Perché il Cavaliere è a fianco dell’economista liberale Antonio Martino nel corso dell’esecuzione dell’Inno nazionale. E ricorda con rammarico la mancanza di persone come Lucio Colletti e Giuliano Urbani vent’anni dopo una stagione forse irripetibile. Tuttavia appare convinto della validità del “ritorno al futuro”, consapevole del fallimento del tentativo di unificare le formazioni politiche del centro-destra in una realtà nuova. E a imporre la necessità di un rinnovamento del ceto dirigente. A riprova della consapevolezza dei limiti dell’intero vertice, compresi “falchi e lealisti” che gli tributano ovazioni mentre ricostruisce l’epilogo del rapporto con le “colombe”. Un divorzio provocato a suo giudizio non tanto da dissensi sui valori e programmi bensì dalla rivalità tra persone, “che ha creato un’atmosfera grigia nel nostro partito”. Berlusconi ribadisce che ogni tentativo di ricucire lo strappo si è rivelato vano. Nel pomeriggio le due componenti erano giunte a un passo dall’accordo, ma i governativi non hanno voluto rinviare la decisione sul sostegno all’esecutivo di larghe intese a dopo il 27 novembre, quando l’Aula di Palazzo Madama voterà la proposta di decadenza del Cavaliere dallo scranno di senatore. A quel punto l’ex Presidente del Consiglio ha tentato di giocare l’ultima carta: garantire nello Statuto di Forza Italia la rappresentatività e la presenza di tutte le correnti culturali e politiche interne. Nulla da fare.

Lo scoglio insormontabile riguarda il gabinetto guidato da Enrico Letta. Al quale Cavaliere e fedelissimi concedono dieci giorni di tempo, tra esito della decadenza e contenuto della legge di stabilità “che non può tradire gli impegni sull’abrogazione della tassa sulla prima casa e su un rapporto più equo tra contribuenti e Agenzia delle entrate”. Altrimenti prospetta una spaccatura difficilmente sanabile con gli innovatori ministeriali “che preferiscono restare in compagnia di chi vuole eliminare l’avversario politico di sempre”. E prefigura un fronte trasversale ostile alle larghe intese che spazia da Fratelli d’Italia a Sinistra e Libertà, dalla Lega Nord al Movimento Cinque Stelle. Così, mentre la platea grida “fuori i traditori!”, il Cavaliere, con pause di silenzio ed emozione, rivela di aver trascorso una notte insonne. Ma sceglie la strada dell’ironia e lascia aperte le porte anche alle “colombe”, ribattezzate “Cugini d’Italia”. Esorta l’assemblea a non fare cenno ai “nuovi Popolari” nei loro interventi e a non scavare un solco con un potenziale alleato di coalizione al pari di Lega Nord e Fratelli d’Italia.

La ricetta economica della nuova Forza Italia

Un primo banco di prova per verificare la percorribilità di una riedizione della Casa della libertà è rappresentato dalla strategia economica in ottica europea. Tema su cui si gioca l’ancoraggio al PPE del futuro rassemblement del centro-destra. Ma le ricette tra la due anime dell’ex Popolo della libertà divergono profondamente. Perché il bersaglio privilegiato della nuova Forza Italia è l’austerità finanziaria imposta dall’Ue “a egemonia tedesca”, e il suo richiamo è a Stati Uniti, Giappone e Regno Unito che hanno preferito immettere liquidità monetaria per rilanciare l’economia reale, i consumi e l’occupazione, a costo di aumentare inflazione e deficit. Misure ritenute dal Cavaliere “possibili e auspicabili per invertire il declino produttivo europeo, aggravato in Italia dal costo intollerabile della macchina pubblica, dalle carenze infrastrutturali, dal prezzo elevato dell’energia, da una giustizia civile al 126° posto nelle graduatorie mondiali, da un tasso di libertà economica che ci colloca al 90° posto nel pianeta, da un regime fiscale, da un costo del lavoro e da leggi e orari sul licenziamento che ci fa restare ai margini degli investimenti internazionali”. Puntando il dito contro l’inadeguatezza dell’attuale legge di stabilità, Berlusconi rivendica un radicale rovesciamento della strategia di bilancio europea “grazie alla quale la Germania ha ottenuto un surplus commerciale per 20 miliardi di euro mentre tutti gli altri paesi Ue si impoverivano”. Rinegoziare la politica economico-finanziaria comunitaria richiede per lui un ripensamento del ruolo della BCE in chiave di prestatrice di ultima istanza capace di garantire i debiti dei paesi dell’Eurozona. Ma agli esponenti del governo in carica, sentenzia il fondatore di Forza Italia, manca il coraggio e la statura necessari per costruire un “muro di banconote” contro la crisi economica.

Il silenzio sulla riforma elettorale

L’aspirazione a un governo in grado di cambiare il Patto di stabilità Ue non si traduce però in un’organica e coerente proposta di riforma istituzionale ed elettorale. È vero che il documento dell’Ufficio di presidenza parla di introduzione di un regime presidenziale basato su un limpido bipolarismo tra centro-destra liberale e sinistra. Ed è vero che per l’ennesima volta Berlusconi richiama le democrazie politiche bipartitiche e competitive come Usa e Gran Bretagna e l’abisso che le separa da un’Italia prigioniera della frammentazione partitica e di esecutivi fragili frutto di coalizioni eterogenee. Ma rifiuta di spiegare quale è il suo progetto di meccanismo di voto. E di motivare le sue interminabili piroette che lo hanno portato ad abbracciare tutti i possibili sistemi: compreso il maggioritario di collegio che avrebbe avvicinato il nostro paese alle realtà anglosassoni e francese ma che venne sabotato proprio dal Cavaliere nei referendum del 1999 e del 2000. Così, ammette, la balcanizzazione partitica è proseguita e si è rafforzata: “Anche con l’odierna legge elettorale che, pur non essendo cattiva, ha impedito le riforme più importanti e la realizzazione della rivoluzione liberale”. Ma la ricetta indicata dall’ex premier è sempre la stessa: “Per rompere l’auto-conservazione dei piccoli partiti e l’ambizione dei loro leader, per allontanare l’orizzonte delle larghe intese e lo spettro della vittoria di un’alleanza giustizialista ed estremista tra PD e Cinque Stelle, l’unica strada è unire tutti i moderati facendo votare per Forza Italia”.

L’offensiva sulla giustizia

Autentico pilastro del programma della rinata Forza Italia resta la riforma della giustizia. E qui la denuncia del Cavaliere è puntuale. Parla di una “magistratura arbitraria, irresponsabile, impunita, per cui le condanne civili e penali delle toghe scendono al 4-5 per cento rispetto al 50 dei normali cittadini. Grazie a privilegi medievali inesistenti negli Usa dell’elezione popolare dei pm e nella Germania e Francia in cui essi dipendono dal governo”. Attacca “l’esperienza di Magistratura democratica, nel troncone legato al PCI e all’ortodossia marxista e in quello contiguo alla sinistra extra-parlamentare. Che ha interpretato le regole giuridiche in chiave progressista e non neutrale, e poi ha conquistato e consolidato posizioni di potere nell’ordine giudiziario grazie a un’efficace attività sindacale e alle regole correntizie vigenti nel Consiglio superiore. Creando un formidabile potere di veto verso ogni aspirazione politica di riforma della giustizia e imponendo la propria egemonia sui rappresentanti del popolo”. Ritorna sulla propria vicenda giudiziaria, “emblema delle molteplici oppressioni contro la libertà e il mercato”. Ricorda “una sentenza ingiusta, culmine di una serie interminabile di 54 processi tentati senza fortuna nei suoi confronti”. Accusa il PD di “aver imbastito una pratica rapidissima e incomprensibile per giungere entro l’8 dicembre alla decadenza e portare la sua testa su un piatto d’argento. Applicando una legge retroattiva in aperta violazione dei principi del diritto italiano ed europeo. E calpestando le regole giuridiche e i regolamenti parlamentari oltre a una prassi in vigore fin dai tempi dello Statuto Albertino”. Ma si dichiara certo nel ribaltamento del verdetto di agosto grazie alla revisione processuale e al verdetto della Corte europea dei diritti dell’uomo.



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