Non deve trarre in inganno l’improvvisa veemenza con la quale François Hollande e il suo ministro degli Esteri Laurent Fabius hanno deciso di sposare la causa israeliana in seno al gruppo delle grandi potenze che hanno discusso a Ginevra il dossier sul nucleare iraniano, attirandosi le critiche della Repubblica Islamica. Dietro la volontà di fermare i negoziati, secondo molti osservatori, non ci sarebbe infatti la paura che Tehran si doti dell’atomica, quanto la difesa delle ricche commesse militari che Parigi ha realizzato o è in procinto di realizzare con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e la volontà di espandere la propria influenza nella regione. Oltre che un diversivo per un presidente francese sempre più in difficoltà sul fronte della politica interna.
LA VISITA A GERUSALEMME
Ieri, in visita a Gerusalemme, Hollande ha incontrato il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo omologo Shimon Peres, per rassicurarli che la Francia “continuerà ad opporsi ad un alleggerimento della sanzioni economiche finché non ci sarà convinta che Tehran abbia abbandonato ogni intenzione di dotarsi di armi nucleari“. L’atteggiamento di Parigi – come spiega Reuters – può aiutare Israele a fare maggiore pressione sull’alleato americano affinché inasprisca i termini di un eventuale accordo; un’operazione che permette alla Francia di accreditarsi presso tutti i nemici dell’Iran nel Golfo Persico. Da un lato proprio Tel Aviv, che vede in una Repubblica Islamica più forte, senza sanzioni – o peggio, dotata di armi atomiche – una vera e propria minaccia per la propria esistenza (tanto da giungere a ipotizzare, come svela il Financial Times, un attacco solitario contro Tehran nel caso i negoziati non dovessero avere risvolti soddisfacenti); dall’altro le ricche petromonarchie sunnite, ansiose di sbarazzarsi di un avversario ingombrante (e sciita) nella battaglia tutta interna al mondo islamico. Ciò consentirebbe inoltre alla Francia di sostituire gli Usa nel ruolo di potenza occidentale di riferimento nell’area visto il lento spostamento della politica estera americana sul versante asiatico, come ha raccontato l’editorialista del Washington Post David Ignatius, in un’intervista a Formiche.net.
GLI INTERESSI FRANCESI NEL GOLFO
Perché Parigi, in questo caso, è nelle condizioni di giocare in una posizione privilegiata. Può offrire (ad Israele) a livello diplomatico il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza Onu. Ma ha anche molto da dare militarmente. A ottobre l’Eliseo ha firmato un’intesa da 1 miliardo di euro per ammodernare 6 navi da guerra saudite (4 fregate F-2000 di fabbricazione francese e due unità ausiliarie per il rifornimento in mare); a luglio ha vinto un altro appalto, sempre da un miliardo di euro, per fornire agli Emirati Arabi Uniti un sistema di difesa anti-aereo, che a Parigi sperano di vendere anche a Riyadh. Allo stesso modo sono ottimisti sulla vendita del caccia-bombardiere Rafale al Qatar.
IL FUTURO È A DUBAI
E mentre la maggior parte dei Paesi europei soffre per i morsi della recessione, Parigi di muove nella convinzione che il baricentro dell’aerospazio si stia sempre più spostando nel danaroso Golfo Persico. A parziale conferma di ciò, la notizia che in pochi anni l’Airshow di Dubai, kermesse biennale del settore, potrebbe diventare la prima al mondo per importanza spodestando i tradizionali appuntamenti di Parigi e Farnborough. E il fatto che la compagnia di bandiera degli Eau, Emirates Airlines – si legge sul sito della Cnn – sia ormai il terzo gruppo al mondo. Il motivo? La posizione geografica dell’area, eccellente per il contesto economico del XXI secolo, poiché può dare accesso a mercati emergenti come Africa, Asia ed America Latina. Un’opportunità che il Vecchio Continente e i carrier europei non hanno.