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Vi spiego perché Letta non fermerà l’austerità teutonica. Parla il prof. Rinaldi

Non è passato molto da tempo da quando, alla vigilia delle elezioni tedesche che lo scorso 22 settembre hanno sancito la riconferma della cancelliera Angela Merkel alla guida della Germania, fior di economisti, politici e addetti ai lavori si sperticavano nel definire la tornata come il momento in cui si sarebbe decretata la fine delle politiche di austerità dell’Unione europea.

Invece nulla è cambiato e, nei negoziati tra CDU e SPD per la formazione del nuovo governo, un alleggerimento del rigore di Bruxelles nei confronti dei boccheggianti Paesi periferici – Italia in testa – pare essere uscito dal radar delle opzioni possibili, nonostante le recenti bacchettate del Tesoro Usa e della Commissione europea alla politica tedesca incentrata sulle esportazioni.

Uno scenario del quale non si stupisce Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza Aziendale all’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e autore del pamphlet “Europa Kaputt – (S)venduti all’euro, che in una conversazione con Formiche.net spiega cosa l’Italia dovrebbe fare (ma non farà) per impedire che l’economia del Paese collassi.

Professore, pare che Merkel abbia piegato l’SPD sulla linea dell’intransigenza fiscale europea anche perché, a differenza di quanto si pensa in Italia, i socialdemocratici tedeschi hanno basi non troppo differenti rispetto alla CDU su temi come Eurobond e austerità quale premessa indispensabile della crescita. Come se lo spiega?
Dal punto di vista politico ho sempre ritenuto che la Cancelliera, se rieletta, non avrebbe ceduto di un millimetro alla sua impostazione, come sta facendo. In primo luogo perché si sente più forte in virtù del risultato ottenuto. E anche perché è rafforzata dal fatto che i liberali sono crollati nei consensi. D’altro canto i socialdemocratici non avrebbero nessun motivo per cambiare lo status quo, che giova alla Germania. L’opinione che qualcosa dovesse cambiare è maturata nella mente di chi non si rende conto che ci sono delle macroscopiche divergenze di interessi tra Paesi come il nostro e quello tedesco. L’SPD è sì critica verso questo modello a senso unico, ma solo perché si rende conto che sta alimentando in diverse nazioni, compresa la nostra, un malcontento diffuso nei confronti dell’euro, che potrebbe portare a risultati inaspettati alle prossime elezioni europee del 2014. Ma da qui a ritenere che vogliano rivedere la politica monetaria tedesca ce ne passa.

Perché per i tedeschi è impossibile rivedere questa impostazione?
L’attuale struttura della moneta unica agevola in modo palese le esportazioni della Germania, deprimendo economie come la nostra. Quando parlo di interessi differenti intendo proprio questo. I tedeschi sono convinti che il presupposto per la crescita sia il contenimento dei deficit e una riduzione pianificata dei surplus oltre il livello del 60 per cento. Noi avremmo bisogno invece di rilanciare le nostre esportazioni; poco importa che ciò possa portare a un’inflazione più alta, magari intorno al 3-4 per cento, perché consentirebbe di abbassare rapidamente la disoccupazione sotto il 10 per cento, come definito dalla curva di Phillips.

È solo un problema economico?
No, poi c’è un dato storico. Il marco stava alla Germania come la bomba atomica nell’armamentario nucleare francese. Era il simbolo del suo riscatto e della sua operosità. Berlino non vi avrebbe mai rinunciato, ma ha dovuto farlo per dimostrare agli altri Paesi europei che si legava talmente tanto al contesto europeo da non poter più creare problemi come in passato, a partire da ciò che era avvenuto durante i conflitti mondiali. In cambio ha chiesto che l’euro fosse una sorta di duplicato del marco e che venisse gestito con le medesime caratteristiche.
Per questo il 4,7 per cento preso alle scorse elezioni da Alternative für Deutschland, il partito anti euro in Germania, va letto in modo diverso da come lo leggiamo noi. Il loro risentimento non è nei confronti delle politiche della Merkel, ma interpreta il sentimento di quei cittadini tedeschi che si sentono traditi, perché avevano promesso loro che l’euro sarebbe stato gestito secondo liturgie tedesche e che non avrebbero pagato i debiti di altri Paesi, come invece credono stia accadendo. Noi, ovviamente, sappiamo che non è così e che anzi, una nazione come la nostra è un contribuente netto dell’Unione.

Questo può voler dire che non ci sarà una soluzione politica ma si uscirà dal tunnel germanico solo con uno strappo politicamente cruento. Letta e la élite italiana sono pronti?
Non solo non ci sarà uno strappo, ma saranno solo moine per imbonire i cittadini europei in vista di elezioni europei. Anche nel nostro Paese si fa sempre più largo nei cittadini l’opinione che l’euro così configurato non funziona. E i nostri politici non riescono a ottenere nulla per allentare il cappio del rigore.

Eppure i nostri fondamentali sono tra i migliori. Come mai Spagna e Francia ottengono deroghe e noi no?
Perché non abbiamo nessun potere contrattuale, non lo abbiamo mai avuto, soprattutto per il modo di fare dei nostri politici che sono bravi a fare inchini ma meno a difendere i nostri interessi nazionali. Anzi, fanno un doppio errore: riconoscono a Merkel la leadership dell’Europa e così certificano la bontà della sua politica economica.

Cosa accadrà nei prossimi mesi allora? L’economia italiana collasserà?
Noi abbiamo affidato a sistemi tecnici la garanzia di tutta la costruzione europea. La politica non ha più nessuna capacità di intervento, basta guardare ai casi di Grecia e Cipro. Non sono contro la Germania, che anzi apprezzo. Ma visto che non recederà mai dalla sua impostazione, auspico per l’Italia un ritorno alla sua sovranità monetaria. Non solo un ritorno alla valuta, ma anche a una politica economica adatta alle caratteristiche del nostro Paese. Inutile girarci attorno: a noi manca l’elemento principe di tutte le economie avanzate come Usa, Giappone, Regno Unito: la monetizzazione del debito. Al momento la gestione della liquidità avviene solo per mezzo di imposizione fiscale e tagli di spesa. Non potendo stampare moneta, attingiamo risorse dalle tasche di cittadini e imprese. Ed è chiaro che non potrà durare a lungo. Anche perché anche la Germania presto avrà problemi seri. In Italia non si sa che i magazzini tedeschi sono pieni di merci e che il numero di cittadini, giovani e non solo, che si sostiene in modo inadeguato tramite un mini-job è nell’ordine dei 7 milioni.

Il governo italiano parla di ripresa a fine del 2014.
All’esecutivo vorrei fare una domanda. Come pensa l’attuale classe dirigente di poter soddisfare i criteri del Fiscal Compact, dove il solo rispetto di uno dei dettami, ovvero la riduzione pianificata del 5% l’anno dell’eccedenza del surplus di debito rispetto al 60 per cento, pesa per un Paese come l’Italia per più di 50 miliardi, pari a più del doppio dell’intero gettito Imu? Ma era questa l’Europa che ci hanno promesso?


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