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I travagli fiscali di Hollande

Non c’è pace per François Hollande, al quale i cittadini francesi rimproverano non solo la gravità eccezionale della crisi economica e sociale, ma anche l’incapacità di governarla e di indicare una via d’uscita coerente.

Sceso a una popolarità mai toccata in precedenza da un presidente transalpino, il capo di Stato socialista non riesce infatti a individuare nessuna exit strategy che non passi da un inasprimento della pressione fiscale.

Un aumento delle tasse che, dopo il tentativo fallito di operare una serie di dismissioni di aziende e partecipazioni statali e i provvedimenti spot contro paperoni e calciatori, sta scatenando proteste trasversali in ogni ramo della società francese, già provata da un’economia ferma, una disoccupazione che sfiora il 10,5 per cento e da numerose ristrutturazioni nel settore industriale. Dati che hanno spinto a inizio novembre Standard&Poor’s a tagliare ulteriormente il rating di Parigi (ora ad AA), mettendo l’esecutivo sotto la lente degli elettori, ma soprattutto dei mercati.

LA REMISE À PLAT
Ma Hollande non ci sta a passare per un semplice tassatore e prova a rimodulare il peso delle imposte attraverso una sorta di “contrattacco fiscale” come l’ha definito Liberation, o una revisione, una “remise à plat” come si preferisce dire in ambienti governativi. Ad annunciarla è stato lo stesso primo ministro Jean-Marc Ayrault, che in un’intervista pubblicata ieri da Les Echos ha detto di voler intraprendere questo progetto assieme agli interlocutori sociali e dare “in tutta trasparenza” una prospettiva certa ai contribuenti francesi.

MONTA LA PROTESTA
Il malcontento tuttavia non si arresta. A protestare sono gli agricoltori che hanno già sfilato per le strade della capitale, ma anche gli artigiani, i commercianti e i proprietari di piccole attività, che da un lato denunciano lo stato di asfissia fiscale nella quale ritengono di trovarsi, dall’altro sono in allarme per l’aumento dell’Iva che scatterà dal primo gennaio del 2014. Una protesta alla quale si stanno unendo i sindaci, come si legge oggi in un editoriale del Foglio, che racconta come i primi cittadini stiano meditando delle vere e proprie misure di disobbedienza civile contro l’incremento delle imposte. A dar loro man forte alcune analisi hanno calcolato che dal 2011 ad oggi in Francia ci sia stato un aumento della tassazione di almeno 60 miliardi di euro complessivi.

IL PARADOSSO FRANCESE
Per gli osservatori le tensioni che attraversano la Francia sono frutto di un vero e proprio paradosso. Secondo Massimo Nava, autore di un fondo sul Corriere della Sera, “il Paese occidentale con la mentalità più statalista e con l’eredità rivoluzionaria dell’egualitarismo è in preda a spinte centrifughe, ripiegamenti individuali, conflitti ed egoismi di caste e categorie, essendo peraltro finito il tempo dei conflitti di classe. È il gioco della protesta contro tutto, contro il governo e contro lo Stato“. Un’opinione, questa, assolutamente contraria a quella espressa sull’altra sponda dell’Atlantico dal premio Nobel per l’economia Paul Krugman, che in un’analisi sul New York Times definisce la Francia come la vittima di un vero e proprio “complotto“. Per l’editorialista, l’economia francese sarebbe “nella stessa situazione di tutte le altre economie europee“, compresa quella di Paesi con rating pieno “come l’Olanda“, ma che sarebbe penalizzata a causa dei “timori diffusi sulla tenuta della moneta unica“. Per questo, se ne deduce, gli attriti tra cittadini e governo sono del tutto ingiustificati.


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