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Vi spiego perché la decadenza di Berlusconi non risolve la crisi politica

Il cognome Letta è composto di cinque lettere: due vocali e tre consonanti. Ha la medesima struttura del cognome di un altro presidente del consiglio, anche esso con due vocali e tre consonanti: quello di Luigi Facta, colui che era in carica durante la Marcia su Roma del 1922  e che, in quei tragici eventi che gli italiani avrebbero pagato con vent’anni di dittatura e con una guerra, seppe solo dire la frase: “Nutro fiducia”.

Certo, non fu colpa di quel notabile liberale finito per caso a presiedere un governo, se il Re non volle firmare il provvedimento che decretava lo stato d’assedio. Sarebbero bastate quattro scariche sparate in aria per disperdere quei facinorosi e convincere Benito Mussolini a prendere il treno per la Svizzera, anziché il vagone-letto che lo condusse nella Capitale in tempo per recarsi al Quirinale a ricevere l’incarico di formare un governo.

 

L’INSTABILE LEGGE DI STABILITA’ DI LETTA

Anche Enrico Letta continua a nutrire fiducia benché la sua prima legge di stabilità arrivi, irriconoscibile, in Aula a Palazzo Madama, avendo dovuto trovare una soluzione ed una copertura finanziaria (sarà poi davvero così, visto che alla Ragioneria dello Stato – ultimo baluardo rimasto contro il disfacimento del bilancio pubblico –  hanno sostituito, a bella posta, Canzio con Franco?) per tutti gli impegni assunti e le promesse fatte in questi mesi di governo.

 

LE CONVERGENZE PARALLELE FRA GRILLO E BERLUSCONI

Persino il passaggio all’opposizione di Forza Italia, in anticipo rispetto al voto sulla decadenza del Cavaliere, viene salutato a Palazzo Chigi come un rafforzamento della maggioranza. Ma fino a che punto il tandem Letta-Alfano potrà continuare la sua corsa, tutta in salita, avendo contro avversari spregiudicati e, ciascuno con motivazioni proprie ma convergenti, irresponsabili come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo?

 

IL FILM GIA’ VISTO DEL GOVERNO MONTI

I due non perderanno occasione per attaccare sempre e comunque il governo. Il Cavaliere ha già sperimentato questa tattica con l’esecutivo presieduto da Mario Monti. Lo fece con un certo successo elettorale; è lo stesso auspicio che lo ha spinto ad uscire dalla maggioranza adesso. Ma la caduta di Monti venne universalmente deplorata dai partner e dagli osservatori europei ed internazionali, perché quel governo aveva ben operato.

 

PERCHE’ ENRICO LETTA E’ SUB IUDICE

Letta, invece, è sub judice da parte delle Cancellerie europee e di Bruxelles. Peraltro, si è lasciato andare a dichiarazioni in proposito che si sarebbe dovuto risparmiare. Sull’altro fronte, ecco Grillo. Lo conosciamo: lo sfascio è la sua strategia e il suo obiettivo. La sua religione.

IL PRINCIPALE PERICOLO PER LETTA

Ma il principale pericolo per Letta si chiama Pd, da cui vengono segnali di insofferenza di tale intensità che nella famigerata Prima Repubblica avrebbero già condotto qualunque governo alle dimissioni. Questo esecutivo tirerà diritto fino a quando avrà i voti del Parlamento (al Senato la maggioranza dispone solo di un pugno di suffragi di vantaggio, tanto che si ripeterà la tiritera dei senatori a vita se essi non continueranno a marinare l’Aula ).

GOVERNO SENZA MAGGIORANZA

In una democrazia parlamentare questa è la regola. Ma è ormai evidente che Letta e Alfano non hanno più la maggioranza dell’elettorato (anche al netto dell’astensione). E soprattutto i “grandi vecchi” dello sfascio, che lavorano per mandare al potere un ragazzotto come Matteo Renzi,  hanno ormai decretato la fine della compagine delle larghe intese (che da ieri sono divenute ‘’strette’’ già per loro conto).

CHE COSA DICONO I SONDAGGI

A stare ai sondaggi, si direbbe che – nonostante la decadenza – il Cavaliere è “vivo e lotta insieme” a quanti gli sono restati a fianco. Questa longevità politica del leader della rinata Forza Italia ha del prodigioso. In questa vicenda – può essere una spiegazione –  i suoi nemici hanno esagerato. Hanno dato l’idea brutale di voler eliminare a tutti i costi un avversario politico, altrimenti per loro invincibile attraverso le elezioni. E hanno dimostrato di essere condizionati da una base e da un elettorato che hanno smarrito qualunque senso di oggettività, perché per anni sono stati aizzati all’odio. Un odio che, da apprendisti stregoni, hanno suscitato credendo di poterne indicare la direzione, non accorgendosi che alla fine si sarebbe rivolto pure contro di loro (e purtroppo Giorgio Napolitano non riesce ad imitare il mago vero che con pochi gesti riesce a riportare ordine).

GLI ERRORI COMMESSI CON LA LEGGE SEVERINO

Il caso di Annamaria Cancellieri è lì a dimostrarlo: il Pd ha perso quasi due punti nei sondaggi proprio perché non ha messo alla gogna il ministro Guardasigilli. Negare a Berlusconi la possibilità di adire la Consulta sulla questione, non infondata, della retroattività della legge Severino è stato, prima ancora che un errore politico, una prevaricazione vile. La Giunta del Senato avrebbe potuto benissimo farlo nel pieno e legittimo esercizio delle sue prerogative giurisdizionali. Un pronunciamento della Corte sarebbe servito a fare chiarezza;  ma evidentemente  c’era la necessità di togliere di mezzo ogni ipotesi favorevole al Cavaliere. Anche le più remote ed improbabili. Così è stato, di nuovo, quando – contro il regolamento, la prassi e la logica – si è tramato per imporre il voto palese.

LA MAESTRINA DI SCELTA CIVICA

A questo proposito la parte più discutibile l’ha recitata la “maestrina dalla penna rossa” di Scelta civica, Linda Lanzillotta, il cui voto è stato determinante. Pier Ferdinando Casini ha dimostrato ancora una volta un certo fiuto politico, ma è arrivato troppo tardi, quando il boia aveva già sollevato la mannaia che, per inerzia, sarebbe caduta sul collo del Cavaliere. Comunque, il 27 novembre passerà. Ma domani non sarà un altro giorno. Perché si presenteranno,  irrisolti ed incarogniti, i medesimi problemi.


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