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Le bacchettate di Papa Francesco per svegliare la Chiesa

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparsa su Italia Oggi.

L’enciclica Lumen fidei (la luce della fede) Papa Bergoglio la firmò, ma non era sua: concetti e stile appartenevano al papa appena dimessosi. Non così l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (la gioia del Vangelo), appena pubblicata. Che, per lunghezza e spessore, (288 paragrafi!) è anche più di una enciclica. E sprizza in ogni parola, anzi in ogni virgola la personalità dirompente del nuovo papa argentino, il primato della pastoralità sulla cultura, della collegialità e del decentramento sul centralismo e la burocrazia, dell’ottimismo della fede sul pessimismo della ragione.

LA CHIAVE
La parola «gaudium» (ripetuta 29 volte) è la chiave dell’esortazione: il cristianesimo è la gioia prodotta dalla scoperta del Vangelo e tradotta nell’amore per il prossimo. Una gioia spesso dimenticata da una Chiesa troppo intimista e chiusa, incapace di aprirsi al mondo e prigioniera di quei peccati e di quegli errori che con eccessiva frequenza rimprovera agli altri. Troppo preoccupata «della liturgia e della dottrina, ancor più del proprio prestigio» (par. 95), paralizzata dalle sue ipertrofiche strutture, incapace di uscire da se stessa e di aprirsi al mondo, prigioniera di clericalesimo, maschilismo e senilismo, che non danno lo spazio dovuto ai laici, alle donne e ai giovani.

SINCERITA’ VS TRADIZIONE
La sincerità del discorso di Francesco non teme di divenire anatema e condanna della tradizione. Un tono fortemente «ex cathedra», piuttosto lontano dal famoso «ma chi sono io per giudicare?», riferito ai gay nel volo da Rio de Janeiro a Roma. Il bersaglio più frequente dell’esortazione è appunto la Chiesa, che egli non accetta com’è e vuole diversa, ci dice enfatizzando la prima persona: «Io non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro» (49). Più che su quella degli uomini, egli insiste sulla «conversione del Papato» (32). Esso deve purificarsi e capire che la sua vera missione è quella missionaria.

 I SEGNI DELL’ARGENTINA
A nessuno potrà sfuggire l’autenticità e la sincerità del documento. Soprattutto se terrà conto delle esperienze di vita ecclesiale e sociale fatte da Bergoglio in Argentina: il giovanile entusiasmo per il peronismo, la simpatia per la teologia della liberazione, la difesa del terzomondismo, l’entusiasmo per il Vaticano II e per le sue proposte, continuamente riprese nell’esortazione (annuncio, dialogo, testimonianza propria non conversione degli altri, ecumenismo, collegialità, alleanza con atei e agnostici). E se terrà conto anche delle continue amarezze provocate al presidente della Conferenza episcopale argentina dalla diminuzione crescente della frequenza religiosa, dalla introduzione dell’aborto e dalla legalizzazione dei matrimoni fra i gay. L’Argentina è uno dei paesi più scristianizzati del Sudamerica.

I NUOVI RISCHI DELLA RELIGIONE
Di fronte al quieto vivere e al perbenismo dei pastori, giusto rivendicare una sorta di primato della prassi, che però rischia di sciogliersi nel mondo se non accompagnato dal richiamo alle verità e ai valori. Bergoglio ha certo ragione nel rifiutare la subalternità della Chiesa ai poteri forti, anche se forse corre il rischio di subalternarla a nuovi poteri forti, la cultura relativistica, il nichilismo imperante, l’happening di massa, il predominio dei media, che danno successo e prestigio, ma riducono la religione a effimero ed episodico spettacolo.
L’impressione è che il distacco dalla Chiesa preconciliare divenga un rifiuto eccessivo della Chiesa del passato, che certo aveva difetti e colpe, che non mancano neppure in quella odierna, ma ha saputo esercitare la funzione fondativa, religiosa, intellettuale, morale, artistica dell’intera civiltà europea.
La giusta apertura misericordiosa alle miserie, materiali e ancor più spirituali, degli uomini d’oggi mette la sordina al dato della storia: che sempre la Chiesa è stata missionaria, sempre ha usato misericordia, sempre ha compreso la debolezza della carne, ma non perciò ha dimenticato la sua missione spirituale nel mondo, che è quella di far scoprire la gioia del Vangelo attraverso la verità del Vangelo, continuando a proporre dei precetti e una condotta.

PAPA FRANCESCO E L’ABORTO
Il metodo pastorale di Bergoglio appare sinceramente definito in questa esortazione. Non c’è bisogno, egli dice, di insistere sui dogmi e sui precetti della tradizione. Egli non ne parla e perciò non li nega neanche. Ma li minimizza in riferimento al dovere di capire e di perdonare. Significativo il paragrafo sull’aborto. Egli non manca di condannarlo, anche se insiste soprattutto sulla colpa di non fare abbastanza per le donne, che vi sarebbero costrette per dare «una rapida soluzione alle loro profonde angustie» (214). Dimenticando che l’aborto prevale nei paesi ricchi, non in quelli poveri.

GLOBALIZZAZIONE E LIBERISMO 
Appare giusta anche l’insistenza di Bergoglio sui gravi pericoli della globalizzazione economica e sul liberismo esasperato, che fa prevalere «il gioco della competitività e la legge del più forte, dove il potente mangia il più debole» (53). La fede deve tradursi in opere a favore dei miseri: «i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani» (210). Egli riprende uno dei più ripetuti luoghi comuni del Concilio, l’opzione primaria per i poveri: «Desidero una Chiesa povera per i poveri» (198).

UNA CHIESA PER TUTTI
Indicazioni convincenti, che valgono per la Chiesa di sempre (per secoli tutto il Welfare State europeo è stato gestito dalla Chiesa). Ma non possono essere assolutizzate, dato che la Chiesa è per tutti gli uomini, compresi i ricchi, anche se in certe condizioni deve rivolgersi soprattutto ai poveri. Altrimenti, anche se eviteremo, come chiede il Papa, di degradare il sacerdozio al «funzionalismo manageriale» (95), non potremo impedire che gli operatori ecclesiali assomiglino sempre più a superficiali e impreparati sociologi e psicologi.

LA FRUSTA DI BERGOGLIO
La Chiesa, in quasi duemila anni, non è cambiata. In ogni sua epoca è una mescolanza di pesci sani e marci, il grano e il loglio vi crescono insieme sino alla mietitura (Mt 13). Come aveva capito Agostino nel De civitate Dei, la Chiesa, che cammina e talvolta zoppica nel mondo, non è città di Dio, è solo il veicolo per arrivarci. Ecco perché dovrà sempre emendarsi e riformarsi. In tal senso possono aiutarla anche il grido e la frusta di papa Francesco.


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