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Matteo Renzi. Uno, nessuno, centomila

Dai muri di Palazzo Vecchio Matteo Renzi ha assorbito la sapienza della storia. Tra le mura ove Messer Machiavelli studiava l’essere umano politico, il Sindaco ha appreso l’arte di esser “golpe et lione”, simulatore e dissimulatore.

Certo, “Il Principe” Matteo deve averlo letto davvero bene, soprattutto quando arriva a Roma a rovesciare l’altare dei sacri principi della sinistra. “Quello della Cgil non sarà il mio programma” dichiara gagliardo alla platea liberal romana che viene dal professionismo, dall’alta burocrazia, dall’università. A loro Renzi ha offerto la sua ricetta anti-socialista al popolo estasiato che vive tra i salotti dei Parioli, gli attici di Monti e i palazzi di Prati. Insomma, per parafrasare l’inventore della scienza politica: dalla Cgil è meglio essere temuti, che amati.

Per continuare l’itinerario del Sindaco basta spostarsi un paio di cento km più a nord dove nelle sezioni fiorentine combatte sfoderando perle di Don Milani e stoccate di La Pira biascicate in fiorentino. Non esiste altro che la sinistra cattolica sotto il Duomo toscano. Perché niente è lasciato al caso nella retorica renziana: prima si studia il pubblico, poi si attacca. La scuola, democristiana si sa, è quella buona.

E nel su e giù peninsulare, nella mitezza della Puglia si loda Don Tonino Bello. Altro cattolico sociale in odore di santità. Matteo, tra un’orecchietta e una cima di rapa, sa dove colpire. Posto che vai, santo che trovi, Renzi che cita.

Oltre Manica continua lo spettacolo. Quando il Sindaco vola a Londra è tutto per la City e Davide Serra, finanziere bocconiano, il suo Virgilio. Tra titoli, put e call, bot e spread, banking and finance Matteo si districa da par suo nei meandri della finanza. L’approccio è friendly, la finanza va cambiata certo – cari elettori del Pd – ma non certo ostacolata, tranquilli miei cari finanziatori. D’altronde, le banche non l’hanno forse inventate a Firenze nel 1300?

Nel salotto più impomatato d’Italia, Renzi sparge la brillantina. Da Bruno Vespa, è noto, non si va a far i rivoluzionari. Vespa è il sovrano della compostezza e del cerchiobottismo nazionale. E Matteo non si smentisce: le istituzioni prima di tutto. E’ il trionfo del “Così, ma anche”, del “si cambia, però”. Insomma, riformisti sì ma senza sparecchiare Porta a Porta. Anche perché poi chi lo sente Vespa quando Matteo sarà a Palazzo Chigi? Da chi si fa scrivere un onesto e giusto libro all’anno come Berlusconi?

E’ un Sindaco poliedrico, multicolore, portatile, Renzi. Arguto quanto basta, feroce quanto serve, gaio quando necessario. Machiavellico certo, ma anche pirandelliano. Uno, nessuno e centomila. Un po’ come il suo programma elettorale. Che serva la discesa a Piazza Colonna per capire quale sarà il vero Renzi?


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