È notizia di oggi, che il ministro delle Industria francese, Arnaud Montebourg, ha dichiarato che la Francia utilizzerà, anche nei prossimi anni, l’energia nucleare per produrre la metà del proprio fabbisogno di elettricità – «L’energia nucleare è il settore del futuro» ha sottolineato. Montebourg nel fine settimana era a Pechino per presenziare a un seminario celebrativo sulla partnership nucleare franco-cinese, che dura da oltre 30 anni.
Tra i due Paesi gli interessi sembrano concretizzarsi ulteriormente con le trattative sulla progettazione di altri due reattori, oltre ai due di Taishan – nella provincia meridionale del Guangdong – che il gruppo energetico francese Areva sta già costruendo.
Ma le attività cinesi in ambito nucleare – il più grande progetto del mondo, con la costruzione nei prossimi anni di 30 nuove centrali – non si fermano alla Francia. In Pakistan è stato inaugurato pochi giorni fa, il progetto di costruzione della più grande centrale nucleare del Paese. L’impianto genererà 2.200 megawatt e sarà costruito sulla costa del Mar Arabico, a Paradise Beach, 40 chilometri a ovest di Karachi.
L’investimento sarà di 9 miliardi di dollari e il governo pakistano lo porterà avanti con l’aiuto del partner storico: la Cina, appunto. L’obiettivo è quello di potenziare ulteriormente la quantità di nucleare civile, che finora ammonta al 3,8 per cento dell’energia elettrica prodotta e proviene dalla vecchia centrale di Knaupp (ormai sotto controllo di sicurezza) e da quella di Chasnupp costruita anche questa in partnership con la Cina.
L’approvvigionamento energetico rimane una delle preoccupazioni più pressanti in Pakistan, ed è stata una questione importante nelle elezioni generali dello scorso maggio, quando Sharif ha costruito il suo vincente consenso, anche sulla promessa di mettere fine a un carenza paralizzante per la crescita economica. Sharif ha parlato di «un momento di orgoglio nella storia energetica del Pakistan, una via verso la libertà dal “loadshedding”» (con “loadshedding” si intendono i tagli di potenza – dovuti all’eccessivo affidamento ai combustibili fossili importati, su cui gli elevati costi sono soltanto un esempio della cattiva gestione – che producono ore di black-out diventate ormai una realtà quotidiana nel Paese, soprattutto nei mesi estivi.
Proprio il primo ministro, intervenendo alla cerimonia di apertura dei lavori di costruzione del nuovo impianto, ha annunciato che sarebbe alla valutazione della Pakistan Atomic Energy Commission – l’ente che si occupa dell’energia nucleare – la possibilità di costruire anche altre centrali (sei in totale), per portare il nucleare al primo posto delle fonti di approvvigionamento. L’obiettivo del piano definito Nuclear Energy Vision 2050, è di arrivare a una produzione intorno ai 40 mila megawatt. Contemporaneamente Sharif, ha anche ricordato i lavori già avviati dal governo del Power Park Pakistan Gaddani in Balochistan, consistente in 10 centrali a carbone che arriveranno a produrre 6.600 megawatt di energia elettrica, e ha aggiunto che nei piani c’è la costruzione di tre dighe sull’Indo, per utilizzare la potenza idroelettrica del fiume: due dighe partiranno in simultanea, Diamer-Bhasha e Dasu, e poi quella di Bunji.
Sharif nel suo intervento, ha spinto sul fatto che la nuova collaborazione sul nucleare ha stretto ancora di più le relazioni con Pechino, ha invitato gli investitori cinesi a muoversi verso il Pakistan; «un Pakistan che» secondo le sue visioni politiche «diventerà sicuro, democratico, tollerante e con pari opportunità per tutti, un Pakistan dove le imprese, il commercio e l’agricoltura fioriranno, un Pakistan dove chi è capace ed efficiente sarà trattato in base al merito, dove le menti sono aperti a nuove idee e nuovi modi di sviluppo». E, sulla città da dove parlava, ha aggiunto: «Oggi la gente guarda con invidia verso città come Dubai, Hong Kong, Kuala Lumpur e Singapore. Vorrei vedere Karachi in questo elenco di porti e centri industriali perché credo nella gente di questa città».
Ma non mancano le controversie: la Cina infatti ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare e al Gruppo dei fornitori nucleare – un accordo siglato da 47 paesi per limitare le esportazioni di tecnologia e materiali nucleari. A tal proposito il New York Times ha intervistato il professor Zhang Li, un esperto di Pakistan dell’Istituto di South Asian Studies presso l’Università del Sichuan nel sud-ovest della Cina. In base all’analisi di Zhang, la collaborazione «non innescherà grosse problematiche», in quanto il progetto verrà fatto rientrare nelle “clausule di salvaguardia” inserite nei trattati internazionali. Anche per quanto riguarda i rapporti diplomatici, secondo Zhang, non ci saranno contraccolpi: non si danneggeranno «le relazioni sino-indiane, perché non è qualcosa che è venuto fuori dal nulla, ma Cina e India si sono scambiati opinioni su questo [progetto] molte volte». Quello che è invece è improbabile, secondo il professore, è la possibilità che la Cina costruisca in Pakistan altri reattori oltre a questo già in fase esecutiva.
L’accordo comunque, rafforza a tutti gli effetti la collaborazione tra Pakistan e Cina – che a quanto pare investirà direttamente 1 miliardo nell’impianto – contrapponendosi all’asse nucleare indiano-statunitense, da sempre poco gradito a Islamabad e considerato da Pechino come una sfida geopolitica.
I rapporti del paese di Nawaz Sharif con Washington, sono ancora freddi (e il clima con cui è stato accolto il segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, in queste ore, è un’ulteriore prova): le proteste contro gli attacchi americani con i droni di fine novembre (oggi rese ancora più forti dalla richiesta ufficiale di “stop” ad Hagel), si sommano al silenzio sulla riattivazione degli aiuti statunitensi – 1,6 miliardi di euro, tenuti sapientemente celati da entrambe le parti.
Sullo sfondo si staglia un più ampio scenario, aperto dall’accordo sul nucleare iraniano, che ha scontentato molti Paesi anche nell’Asia del Sud-Ovest, su tutti l’Arabia Saudita: circostanza questa che collega le intenzioni di espansione nucleare civile del Pakistan, con la volontà dei sauditi – nemmeno troppo celata – di dotarsi di un deterrente nucleare. E anche l’Arabia Saudita ha stretto lo scorso anno un accordo per un programma di collaborazione con la Cina, che prevederebbe secondo fonti locali – mai del tutto confermate – la costruzione di 16 nuovi reattori entro il 2030.