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Così Unicredit, Intesa e Mps lodano la riforma della Banca d’Italia

Banca d'Italia

L’Abi – Associazione bancaria italiana presieduta da Antonio Patuelli – plaude alla riforma della Banca d’Italia presente nel decreto 133 del 30 novembre e rinnovata nella legge di conversione in discussione alle Camere. Se ne preserva la sua indipendenza – si legge nell’audizione del direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini che ha tenuto nei giorni scorsi in Parlamento – e la funzione di vigilanza non viene intaccata, restando così in linea con le direttive europee. Ma tra gli applausi per la riforma della Banca d’Italia, il direttore generale di Abi espone anche le perplessità del mondo bancario sugli oneri fiscali che gravano sulle banche italiane più che nel resto d’Europa. Le parole dell’Abi arrivano qualche ora prima dell’approvazione del nuovo statuto dell’Istituto centrale nel corso di un’assemblea straordinaria della Banca d’Italia.

INDIPENDENZA E VIGILANZA

Negli ultimi anni si era presentato il problema della concentrazione del capitale della Banca d’Italia nelle mani dei maggiori gruppi bancari italiani. Nelle pagine dell’audizione tenuta da Sabatini si legge che “ciò non ha non ha creato problemi di sostanza, grazie alle norme che limitano i diritti dei partecipanti al capitale; è tuttavia necessario evitare la possibile (erronea) percezione che la Banca possa essere influenzata dai suoi (maggiori) quotisti”.

Così come l’assetto proprietario, grazie alla riforma presente nel d.l. 133, non influisce sull’indipendenza dei vertici della Banca: la sua indipendenza viene assicurata anche in relazione alle possibili pressioni politiche esterne, ha garantito il direttore generale dell’associazione presieduta da Patuelli. “I due nodi critici sono quindi risolti dal d.l. n. 133 attraverso la creazione delle condizioni giuridiche e di mercato per provvedere ad una redistribuzione delle quote, e riaffermando inequivocabilmente i principi di autonomia ed indipendenza della Banca d’Italia “nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze”, ha detto Sabatini.

I CONFRONTI

Ma l’assetto proprietario della Banca d’Italia non è l’unico nel panorama europeo, ha sostenuto il direttore generale di Abi, “infatti, tre Banche Centrali nazionali sono costituite in forma di spa con capitale diffuso presso il pubblico: la Banca Centrale Svizzera, la Banca Centrale Greca e la Banca Centrale Belga, quest’ultima finanche quotata sul mercato Euronext Brussels”. Sabatini prosegue portando anche un esempio oltreoceano: “Fuori dall’ Europa, gli esempi di banche centrali “ad azionariato diffuso” tra soggetti privati sono numerosi e autorevoli: una su tutte, la U.S. Federal Reserve”.

IL LAVORO DEI SAGGI

L’Associazione bancaria italiana ha sottolineato anche l’importanza del lavoro del Comitato dei Saggi nella previsione di “una quantificazione della parte del patrimonio della Banca di spettanza degli attuali quotisti, necessaria anche per chiarire che questi non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della Banca riveniente dal signoraggio”. E proprio in relazione al lavoro fatto dai Saggi, il d.l. 133 “rivaluta il capitale della Banca d’Italia fino a 7,5 miliardi di euro, trasferendo una parte di riserve a capitale e fissando un limite massimo ai dividendi distribuibili dagli azionisti”. Ma Sabatini prosegue, nell’audizione, sottolineando quanto sia “necessario che la Banca d’Italia assicuri ai partecipanti un flusso futuro di dividendi coerente con la nuova quantificazione del capitale. Ciò consentirà alle banche di adeguare i propri bilanci ai nuovi valori, ponendo finalmente termine all’incertezza che, come ha ricordato la stessa Banca d’Italia, ha finora caratterizzato la valorizzazione delle quote”.

QUALCHE UTILE CONFRONTO

Il capitale sociale della Banca d’Italia, identico a quello del 1936 e pari a 156.000 euro, non è mai stato rivalutato, né dopo la II guerra mondiale né con l’avvio dell’Euro. “Questo ha determinato che, nonostante la dimensione del nostro Paese, il capitale della Banca d’Italia – sostiene Sabatini – risulta il più basso tra i Paesi dell’area dell’euro perfino di quello di Cipro, se si esclude la banca centrale irlandese. Mentre la Banca d’Italia è nello stesso tempo la Banca centrale con il più elevato livello di patrimonializzazione, con 22,6 mld di euro”. La rivalutazione dei capitali, invece, è stata affrontata recentemente da diverse banche centrali, come Banque de France e Banco de Espana.

Non si tema neanche “una Banca d’Italia “preda” di investitori stranieri”, continua il direttore generali dell’Abi, perché l’individuazione dei soggetti detentori del capitale della Banca di Italia avviene sulla base delle indicazioni europee. “Infatti, i futuri partecipanti al capitale potranno essere esclusivamente intermediari, come tali regolati e vigilati sulla base delle stringenti norme poste dalla disciplina nazionale e comunitaria”.

ONERI FISCALI SULLE BANCHE

Limiti alla deducibilità di IRAP e IRES, la mancata introduzione del regime speciale di Gruppo IVA, procedimenti penali in caso di infedele dichiarazione troppo restrittivi, disciplina che prevede “l’intervento delle banche come ausiliario del fisco ai fini di accertamento e/o riscossione relativamente alla posizione fiscale di soggetti terzi” troppo onerosa e regole sull’IVA più restrittive del resto d’Europa.

“La limitazione della deducibilità, nel caso delle banche, non trova giustificazione alcuna se non nelle esigenze di gettito – si legge nell’audizione di Sabatini. “In Europa – continua il direttore generale di Abi – generalmente le limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi sono dirette a sanzionare fiscalmente i soggetti che presentano squilibri nella gestione finanziaria (eccedenze di interessi passivi rispetto a quelli attivi), e non riguardano i soggetti che fisiologicamente non presentano squilibri in tal senso (come le banche)”. Un richiamo all’Europa, dunque, a più livelli.

CONFORMARSI ALL’EUROPA

“La direttiva IVA (art. 11 della direttiva n. 2006/112/CE) prevede la facoltà per ogni Stato UE di introdurre uno speciale regime del Gruppo IVA, vale a dire la possibilità di considerare come un unico soggetto passivo ai fini dell’IVA le persone giuridiche stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi”. L’Abi sottolinea, però, che “Tale istituto non è stato in realtà mai adottato dal nostro Paese, contrariamente a quanto invece si riscontra nella maggioranza degli Stati dell’Unione europea” e questo metterebbe in una posizione di svantaggio le banche italiane.

Si leggono nell’audizione anche riferimenti all’infedele dichiarazione sanzionabile, in Italia, “indipendentemente dalla sussistenza di un comportamento fraudolente, ma per il semplice fatto che risultano superate predeterminate soglie quantitative”. “In ambito sia UE che extra UE emerge invece – si legge nelle parole dell’Abi – come la sanzionabilità penale dell’infedele dichiarazione non sia prevista, posto che in linea generale gli ordinamenti esteri assumono come fattispecie penalmente rilevanti soltanto ipotesi configurabili come frode/dolo”.

ONERI AMMINISTRATIVI ECCESSIVI

“La mole degli adempimenti di carattere organizzativo ed amministrativo che le banche si assumono oggi per la gestione di adempimenti di carattere fiscale riferiti alla sfera giuridica di altri soggetti non ha simili a livello europeo e internazionale ed è tale da richiedere il ricorso ad apposite strutture dedicate, interne o esterne, e non di rado rende necessaria l’assistenza di consulenti specializzati”. Pur non essendo oneri riguardanti solo gli istituti bancari, si rende necessario per le banche italiane l’uso della figura del “sostituto d’imposta”, utilizzata in Italia più ampiamente che negli altri Paesi.


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