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La guerra di Claudio Borghi all’euro

Avversione verso “una moneta unica terribilmente sbagliata” e la “miscela tra valuta forte e assetto economico fragile che ha connotato il percorso di integrazione economico-finanziaria europea”. Attenzione privilegiata al Prodotto interno lordo, il denominatore dei rapporti previsti dai Trattati di Maastricht. Abbandono dell’euro per procedere in forma coordinata alla costituzione di due valute rispondenti alle diverse realtà economiche dell’Ue. E recupero della sovranità monetaria nazionale, per costruire l’Europa su basi di effettiva solidarietà.

È condensato in questi tratti distintivi il pensiero di Claudio Borghi, uno degli economisti più originali nella critica radicale contro il Fiscal Compact e l’Unione monetaria. La sua riflessione culturale e la sua attività divulgativa mostrano consonanze di idee con studiosi come Alberto Bagnai, Antonio Rinaldi e Giuseppe Guarino. E vanno a inserirsi in uno scenario politico percorso da fermenti di crescente ostilità all’euro.

BIOGRAFIA MULTIFORME

Milanese, Borghi può vantare un percorso formativo e professionale peculiare rispetto al tradizionale curriculum accademico. Entrato nel mondo lavorativo come fattorino di Borsa, ha ricoperto ruoli dirigenziali in istituzioni finanziarie e bancarie di rilievo internazionale tra cui Merrill Lynch e Deutsche Bank. Professore di Economia degli intermediari finanziari, Economia delle aziende di credito ed Economia e Mercato dell’arte presso l’Università Cattolica di Milano, è autore del libro “Investire nell’arte” ed è editorialista del Giornale.

IL MANIFESTO ALTERNATIVO A MAASTRICHT

L’economista è tra i firmatari del Manifesto di solidarietà europea. Testo che, individuando nella crisi dell’area euro un rischio per le conquiste dell’Unione Europea e del Mercato comune, punta a uno smantellamento controllato dell’Euro-zona. Il notevole successo e il fascino del processo di integrazione comunitaria, scrivono gli estensori del documento, è scaturito da un modello di cooperazione che si rifletteva sugli Stati membri senza minacciarne alcuno. “Ma l’introduzione della valuta unica, così come è stata realizzata, si è trasformata in una seria minaccia al progetto di unificazione politico-economica del Vecchio Continente. Perché i paesi meridionali, intrappolati nella recessione, non possono ristabilire la propria competitività svalutando le valute nazionali, mentre ai governi settentrionali si chiede di mettere a rischio i benefici del rigore di bilancio tramite infiniti salvataggi che non portano a nulla”. Un panorama che a giudizio degli autori del manifesto rischia di portare allo scoppio di gravi disordini sociali nell’Europa meridionale e di compromettere il sostegno dei cittadini del Nord all’integrazione.

LA STRATEGIA AUSPICATA

La strategia indicata “per salvare l’Ue” passa per “una segmentazione controllata dell’Euro-zona attraverso l’uscita concordata dei Paesi più competitivi”. Con l’obiettivo finale del ritorno alle valute nazionali o a differenti monete adottate da gruppi di Stati omogenei. Gli estensori del documento sono persuasi che un euro più debole migliorerebbe la competitività dell’Europa meridionale aiutandola a uscire dalla recessione e tornare alla crescita. Senza il rischio di panico e collasso del sistema bancario. Per esprimere tutte le potenzialità il meccanismo di solidarietà dovrebbe fondarsi su un nuovo coordinamento delle divise europee per prevenire guerre valutarie ed eccessive fluttuazioni dei cambi fra i partner Ue. E su un abbuono dei debiti di alcune realtà meridionali, “nettamente inferiore al prezzo che le economie più sviluppate sarebbero costrette a pagare per il perdurare della crisi delle nazioni del Sud aderenti all’Euro-zona”.

LA GUERRA DEGLI EUROSCETTIVI

Borghi ha fatto proprie le tesi enucleate nel Manifesto riuscendo a gettarne i semi nel confronto politico. Nel corso del convegno “Morire per l’euro?” promosso il 5 dicembre al Parlamento europeo dai partiti euroscettici, lo studioso si ritrova a fianco di Bagnai e Rinaldi nel denunciare gli effetti dell’Unione monetaria. Ricordando che “Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno fatto sprofondare la Grecia nel debito pubblico e aperto il vaso di Pandora della crisi dei debiti sovrani diffondendo i germi dell’odio tra nazioni tramite povertà e disoccupazione”, Borghi pone nel mirino l’architrave del processo di integrazione valutaria: “Mantenere aree economico-sociali estremamente differenti in un’unica area monetaria grazie a un cambio fisso porta al trasferimento territoriale di enormi ricchezze, accresce i tassi di interesse e il passivo nella bilancia commerciale”.

IL DEBITO PUBBLICO NON E’ IL VERO PROBLEMA ITALIANO

Autentico problema, rileva l’economista, non è il debito: “Quando nel 1992 fu spinto a uscire dal sistema monetario europeo, il nostro Paese non subì alcun tracollo pur presentando un elevato deficit. È a partire dall’adozione dell’euro che l’Italia, come i Paesi meridionali e periferici dell’Unione monetaria, ha registrato un disavanzo nella bilancia commerciale a favore di quella tedesca in continua eccedenza”. Un regalo, rimarca lo studioso, frutto di un’organizzazione dei prezzi sbagliata, iniqua e fonte di privilegi per grandi corporation contro il tessuto produttivo nazionale di piccole e medie aziende, prive così del cuscinetto monetario per affrontare le congiunture anti-cicliche: “Al contrario del Regno Unito che ha potuto svalutare la sterlina senza contraccolpi per tutelare e rilanciare le proprie imprese”. È così, spiega Borghi, che la nostra penisola è diventata “luogo di conquista per pochi spiccioli dei grandi gruppi tedeschi e stranieri e ha visto acuirsi la spirale tassazione intollerabile-evasione fiscale-corruzione”.

LE SINTONIE CON IL CARROCCIO

Tra le formazioni politiche euro-scettiche la primogenitura nel nostro Paese va riconosciuta alla Lega Nord. È intervenendo al Congresso delle camicie verdi del 15 dicembre che Borghi ha riconosciuto a Umberto Bossi “il merito di aver compreso con largo anticipo  quale gabbia insidiosa fosse l’adozione della valuta unica e dei parametri di Maastricht”. Perché, evidenzia lo studioso, l’Italia e le sue aziende sono in crisi a causa di una divisa troppo forte, che rende conveniente acquistare i beni creati altrove e non ci permette di vendere i nostri prodotti. Sottraendo al governo nazionale ogni politica economico-monetaria e producendo disoccupazione, povertà, stagnazione. La ricetta per superare un’egemonia finanziaria “che nega l’amicizia tra popoli europei liberi e indipendenti” non risiede per Borghi nell’ulteriore apertura a una “Ue rapace delle nostre risorse e che impone alle piccole e medie aziende italiane le stesse regole dei grandi gruppi industriali tedeschi”.

L’APPELLO A UN FRONTE ANTI EURO

Ma l’orizzonte che anima la riflessione e gli interventi di Borghi appare più vasto, e ambizioso. Come emerso il 19 dicembre nel corso della trasmissione tv “La Gabbia”, lo studioso si rivolge a tutte le forze ostili alla valuta unica e all’austerità, “per aggregare un fronte potenzialmente maggioritario in grado di affermarsi nel voto europeo sconfiggendo la linea euro-entusiasta del Partito democratico e di Mario Monti”. E il giorno seguente nel programma “Agorà” richiama destra e sinistra a “rifiutare la logica folle e distruttiva di una Ue che con il cambio fisso soffoca le economie reali costringendo alla disoccupazione e alla drastica riduzione dei salari”.

L’INTERESSE DEL CAVALIERE

Appelli che sembrano trovare terreno fertile nella saldatura in chiave anti-euro di gruppi partitici molto lontani per storia e orientamento, da Fratelli d’Italia e Gianni Alemanno a Rifondazione comunista, dal Carroccio al Movimento Cinque Stelle. Fino alla nuova Forza Italia pervasa da pulsioni populiste contro l’Ue a trazione germanica. E fortemente intenzionata ad ascoltare i ragionamenti e le proposte degli studiosi più critici verso l’Unione monetaria.

È l’Huffington Post a riferire, se pur in forma indiretta e priva di riscontri da parte dei protagonisti, di un incontro che sarebbe avvenuto recentemente tra Borghi e Silvio Berlusconi. La testata on line ha captato alcuni giorni fa il neo-segretario della Lega Nord Matteo Salvini rivolgersi così ai deputati in camicia verde: “Ho sentito Borghi. Mi ha detto che è andato a pranzo con Berlusconi, Niccolò Ghedini e qualcun altro. Volevano farsi spiegare come si esce dall’euro…”. Raggiunto telefonicamente, l’economista preferisce non parlarne. Nessuno conferma, neanche le fonti vicine al Cavaliere. Ma nessuno ha smentito.


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