È vero, la notizia ha carattere epocale e merita di essere riportata nei libri di storia: la Fiat ha definito l’acquisto della quota posseduta dal sindacato americano Veba nella Chrysler e pertanto ne assumerà il controllo al 100%, diventando così il sesto gruppo automobilistico al mondo.
IL DISEGNO DI MARCHIONNE
Sergio Marchionne porta a compimento l’audace disegno che aveva concepito e poi attuato dal 2009, entrando nella proprietà di una delle Big Three del settore negli Stati Uniti – insieme a General Motors e Ford – e rilanciandola.
UN GRUPPO MONDIALE
Un grande gruppo mondiale che distribuisce le sue fabbriche maggiori negli STati Uniti e in Italia e, nel nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, ove si localizza più del 60% della produzione nazionale di auto e veicoli commerciali leggeri che vanta i suoi punti di forza proprio negli stabilimenti di Fiat Auto e Fiat Industrial di Pomigliano (NA), Atessa (CH) e Melfi (PZ) – tutti circondati da forti nuclei di Pmi di subfornitura – mentre grandi fabbriche di componentistica sempre della Casa torinese sono a Sulmona, Termoli, Foggia, Caivano, Bari ed altri stabilimenti di elevate dimensioni (per occupati) di Bosch, Denso, Dayco, Getrag, Skf, Graziano Trasmissioni, Bridgestone, sono distribuiti fra Abruzzo, Campania e Puglia. La CNH a Lecce produce macchine movimento terra, anch’essa con un fiorente indotto.
GLI INVESTIMENTI AL SUD
Ed è bene ricordare che la stessa Fiat da qualche anno ha avviato e in parte completato massicci investimenti per riconvertire alcune linee degli impianti al Sud e consentirvi la costruzione di nuovi modelli destinati in prevalenza ai mercati esteri: dai 700 milioni per la Nuova Panda a Pomigliano al miliardo di euro per il Suv Jeep e la 500X a Melfi, sino ai 700 milioni ad Atessa per le nuove versioni del Ducato. Ma altri investimenti della stessa Fiat stanno per partire nel suo impianto di Foggia per la costruzione di motori diesel e alla Magneti Marelli di Bari per la produzione di motori elettrici per auto ibride. In entrambi i casi le società del Lingotto si sono avvalse di contratti di programma cofinanziati dalla UE e dalla Regione Puglia.
RISVOLTI POSITIVI
Insomma, anche la felice conclusione della scalata Fiat alla Chrysler e al mercato americano – con i positivi risvolti che l’ingresso nell’azionariato della Casa di Detroit stava già determinando nei siti nell’Italia meridionale – dimostra come anche nel Sud Italia si giochi una partita di assoluto rilievo per un settore strategico del manifatturiero nazionale.
IL QUADRO SUDISTA
E d’altra parte l’apparato industriale insediato nel Meridione resta – malgrado la sua economia fra il 2007 e il 2013 abbia perduto 43,7 miliardi di pil – più ampio di quanto si pensi: infatti nel 2012 gli occupati nelle industrie meridionali erano 1.313.104, ovvero il 20,6% del totale nazionale, pari a 6.362.013 unità, superando quelli dell’Italia centrale, corrispondenti a 1.147.106. Inoltre la Campania con 342.618 unità e la Puglia con 298.008 erano rispettivamente al 7° e all’8° posto nella graduatoria delle regioni per numero di occupati nel secondario; e se pure fra il 2007 e il 2012 è calato nel Sud del 9,3% il fatturato nelle piccole imprese, è cresciuto invece dell’8,2% nelle medie e, in misura minore, nelle grandi, escluse le raffinerie.
GRANDI RISORSE
L’Ilva di Taranto – la più grande fabbrica d’Italia con 11.407 addetti diretti – nel 2012 ha toccato la produzione del 57% dei laminati piani dell’intero Paese. Oltre il 60% delle capacità nazionali di raffinazione è insediato nel Sud fra Sicilia – ove sono in esercizio a Priolo-Augusta la raffineria della Isab, controllata dalla russa Lukoil, e della Exxon, mentre a Gela v’è l’Eni Refining&marketing, e a Milazzo la Ram – e Sardegna ove a Sarroch (CA) produce l’imponente sito della Saras, quotata a Milano e partecipata dalla russa Rosneft. A Taranto è localizzato un altro impianto di raffinazione dell’Eni. Anche 3 dei 4 steam cracker della Versalis-Eni sono a Brindisi, Priolo e Porto Torres, ove opera la joint-venture con Novamont per produrre chimica verde. I pozzi petroliferi in Basilicata sono i maggiori on-shore d’Europa – con nuovi investimenti per sfruttarli di oltre 4 miliardi di Eni e Total – mentre plastiche sono prodotte a Brindisi e nel Salernitano, e vetri piani e contenitori in vetro per oli, vini e birre dalle multinazionali Pilkington, Sangalli, Owens Illinois a San Salvo (CH), Manfredonia, Bari e in Sicilia.
GLI ALTRI IMPIANTI
Nel Sud inoltre sono ubicati potenti impianti di generazione elettrica – da quelli dell’Enel a Brindisi, Presenzano, Rossano Calabro, Termini Imerese e nel Sulcis al turbogas dell’Enipower sempre a Brindisi (il più potente della società in Italia) – da quelli di Sorgenia a Termoli e Modugno (Ba) ai siti di Edipower, Edison ed E.On. Anche l’eolico ha nel Meridione la maggiore potenza installata; a Taranto inoltre costruisce aerogeneratori la danese Vestas, la più grande in Italia per addetti. È presente nel Meridione anche la costruzione di treni a Caserta, Napoli, Reggio Calabria, Palermo e Villacidro in Sardegna con AnsaldoBreda, Firema e Keller.
L’IMPORTANZA DEL MEZZOGIORNO
I due robusti poli per numero di aziende e addetti dell’aerospazio di Finmeccanica e della GE-Avio Aero, insediati nell’area napoletana e a Brindisi – con solide propaggini a Benevento e, in Puglia, a Foggia e Grottaglie – sono fra i 5 in Italia con quelli di Lazio, Piemonte e Lombardia. Altre aziende nel Mezzogiorno strategiche per il Paese, sono nell’Ict la STMicroelectronics nell’Etna Valley a Catania, le multinazionali farmaceutiche Sanofi Aventis, Merck Serono, Novartis e Pfizer a l’Aquila, Torre Annunziata, Bari, Brindisi e Catania, la cantieristica a Castellammare di Stabia, Napoli, Palermo e Messina – con il grande Arsenale della Marina a Taranto – le agroalimentari, diffuse con siti di big player internazionali, ma anche di eccellenti produttori regionali, e poi ancora le industrie cementiere, di carta e cartotecnica, e del tac con brand affermati in Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia, e del legno-mobilio. Il Sud resta una grande area manifatturiera europea il cui rilancio concorrerà alla ripartenza dell’Italia.
Federico Pirro – Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia