Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Meglio tardi che mai. Un grande regista ha atteso di compiere i 75 anni per dedicarsi al serial televisivo. Chi lo conosce sa che non è di bocca facile, la stessa parola «fiction» lo irrita, perché del cinema ha una concezione alta e rigorosa. Come alto e rigoroso è il filmato in sei puntate, in corso di trasmissione su Rai 1: «Un matrimonio».
Una narrazione che convince a prima vista e ci fa ritrovare e gustare tutte le qualità del regista bolognese: il legame appassionato con la sua città, tradotto in un purissimo omaggio visivo; la nostalgia di un passato che non può tornare, ma del quale occorre recuperare i valori autentici; la tecnica cinematografica studiata sino all’ossessione e realizzata alla perfezione; il linguaggio che mai grida o scuote, ma sussurra e penetra nell’intimo.
LA TRAMA
La trama è semplice e insieme ultracomplessa. Due sposi, celebrano le nozze d’oro in una festa allietata dai frutti copiosi della loro unione. Di quei cinquant’anni, Avati rievoca gli eventi più scioccanti: l’attentato a Togliatti, la nevicata del 1960, il processo Giuffré, la strage della stazione, la P38 del 1977 e così via. L’Italia attraverso Bologna, la sua città rievocata con sentimentale riconoscenza: un lungo affresco racchiuso sotto quegli interminabili portici, che proteggono e avvicinano gli uomini e le famiglie, palcoscenico e insieme tendone che racchiudono la loro vita. Portici che non sono luoghi, ma personaggi.
Dopo mezzo secolo Carlo (Flavio Parenti) e Francesca (Micaela Ramazzotti) sono ancora insieme, ma solo perché hanno saputo superare una serie di difficoltà e di drammi, dai quali è tormentato e messo alla prova ogni matrimonio. Soprattutto quando i mutamenti sociali si rivolgono contro la famiglia, come nei cinquant’anni vissuti insieme. Intersecati dalle lotte antifamilistiche e dalle leggi che hanno spostato il centro della famiglia dalla socialità all’individualismo. Conducendola inevitabilmente alla crisi.
I NUMERI DELLA CRISI
Di cui, non solo l’Italia, ma tutti i paesi dell’occidente opulento ci offrono i numeri inconfutabili: la diminuzione dei matrimoni, la loro tardiva celebrazione, la crescita delle separazioni e dei divorzi (circa 2.660.000), la limitazione delle nascite, anche con l’aborto. L’indice medio di densità delle famiglie è 2,4; il 31,2 % ha un solo componente. Senza dubbio le difficoltà economiche e lavorative hanno il loro peso, ma più di tutto influisce la tendenza prevalente della nostra epoca, che è di egocentrismo e narcisismo.
IL MATRIMONIO SECONDO AVATI
Anche questo serial, come sempre il cinema di Avati, non è mai propagandistico né moralistico, è un realismo lirico che traduce un mondo vitale. Con coraggio e perseveranza. Trovare un regista che esalti come lui il matrimonio, dopo decine e decine di film dissacranti e catechetici dell’antimatrimonio e della rivoluzione sessuale, non è facile (anche il cinema è un’industria). In fondo questo lungo serial conferma quanto di sé ha scritto il regista: «Mi danno l’etichetta di cattolico. Ebbene sì, lo sono, non per finta, ma per serio. E con orgoglio. Non sono né di sinistra, né di destra. Sono stato fortemente democristiano, ma quel riferimento non esiste più».
Perché le idee cambiano, le mode esplodono e si eclissano, i gusti si modificano, i partiti muoiono e altri ne nascono. Ciò che non può morire (è questo il messaggio del serial) è il matrimonio. Quello vero, non quello gay, che Avati rifiuta insieme alle innaturali adozioni, pur rispettando gli omosessuali a riconoscendo loro ogni altro diritto civile. Perché il senso del matrimonio, quello che solo una coppia etero, come dice il Genesi, può realizzare, è appunto questo: di fondare sull’amore reciproco il luogo per la nascita e l’educazione delle nuove generazioni. Caramelle, brustolini, lupini? Perché no, ma di certo non solo.
I PERSONAGGI
Fra i 259 personaggi alcuni sono incarnati da vecchie conoscenze di Avati (come Cristian De Sica, Katia Ricciarelli, Valeria Fabrizi, Andrea Roncato). Per il suo ruolo emerge Francesca, dato che la conservazione e la continuazione del matrimonio dipende soprattutto dalla donna. Senza inutili enfatizzazioni, con linguaggio semplice e raffinato, Avati ci mostra una cosa che oggi molti hanno dimenticato: non solo che nella famiglia la donna vive con l’uomo e al suo fianco; ma anche, tutto considerato, che il suo «amore a 360 gradi» ne fa il «fulcro della famiglia». Contano entrambi, ma lei un pochino di più.