L’anno appena trascorso è stato ricco di avvenimenti importanti. La novità di maggior peso è stata l’inatteso pontificato di Jorge Mario Bergoglio. In questi nove mesi tutto il mondo ha accolto con favore la missione evangelizzatrice di Papa Francesco. Ovunque è apprezzato lo stile sobrio, la concretezza pastorale e soprattutto l’eccezionale umanità che traspare da ogni suo atto. Riscoprire un volto così genuinamente evangelico di Gesù ha meravigliato e, in molti casi, entusiasmato. Non a caso anche le ragioni con cui il Times ha definito Francesco “uomo dell’anno” ricordano puntualmente l’efficacia con la quale in poco tempo il Papa “ha elevato la missione di una Chiesa che reca conforto alle persone bisognose in un mondo sempre più duro sopra la tutela della dottrina cara ai suoi predecessori”.
Il discorso, tuttavia, non deve fermarsi alle apparenze. La lettura attenta della sua prima Enciclica, Lumen fidei, e ancor più della recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, rivela una straordinaria e profonda attenzione del Papa alla realtà, una sensibilità in grado concretamente di leggere gli avvenimenti e le gravi difficoltà umane presenti in un’ottica autenticamente cristiana. D’altra parte, la verità permanente del Cristianesimo guarda al futuro, ma ha sempre bisogno di essere ripresa, amplificata e identificata con coerenza allo spirito originario del Vangelo.
Mentre l’Enciclica, in effetti, esorta i cristiani al recupero della forza luminosa della fede, una spiritualità personale in grado di rischiarare l’oscurità delle coscienze e spingere ogni credente alla solidale condivisione del comune destino umano, l’Esortazione affronta invece la dimensione sociale dell’evangelizzazione, in linea con la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Le società economiche avanzate devono sempre restare fedeli al valore supremo della persona umana, anche se oggi l’attenzione non può più trascurare quella parte prevalente del mondo che vive in condizioni di grave e preoccupante indigenza. Soltanto in Italia in poco tempo il numero dei poveri si è raddoppiato, e le famiglie che soffrono spiritualmente e materialmente una condizione di estraniazione davvero preoccupante sono quintuplicate.
Il Papa, a tal fine, non soltanto invita a ripensare il bene comune come applicazione caritatevole di una logica cristiana d’inclusione sociale, ma stimola la politica a interrogarsi sul valore stesso della democrazia. I poveri non sono un problema da evitare, da rimuovere e confinare ai margini della società, perché costituiscono l’architrave stesso su cui si regge una convivenza orientata all’eguaglianza e alla dignità di tutti.
D’altronde, tale è sempre stato il modo tipicamente cristiano di concepire l’impegno politico dei governanti, ispirato a un sistema di valori in cui la solidarietà e la partecipazione siano indissociabili dai meccanismi di consenso che legittimano l’esercizio dell’autorità. Giorgio La Pira definiva questa sensibilità cristiana animata “da una storiografia del profondo, attenta alle grandi e misteriose correnti sotterranee che trascinano la storia”.
Il Papa ha ricordato ai giovani dell’Azione Cattolica, proprio alla fine dell’anno, che Gesù si presenta sempre come un “amico” che dà gioia e partecipa alle sofferenze e difficoltà degli altri. Un invito chiaro, dunque, a modificare la mentalità scarsamente democratica diffusa nel nostro Paese, eliminando l’indifferenza e il cinismo che allontana i potenti dalla gente comune. Una democrazia, infatti, è veramente tale soltanto quando è tangibile la condivisione personale e comunitaria delle difficoltà, delle aspirazioni e dei bisogni che giacciono nel profondo della società.