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Vi spiego il Jobs Act di Giamburrasca Renzi

Ho conseguito il mio primo successo ‘’letterario’’ da bambino in seconda elementare, quando la maestra mi mandò, insieme a un paio di compagni, a leggere nelle altre classi (tra cui una di sole femmine dal momento che nell’immediato dopoguerra vigeva un regime di apartheid di genere) lo svolgimento di un tema che aveva per titolo “Se avessi le ali…”. Di quello che avevo scritto ricordo soltanto la parte conclusiva. Alla fine del mio vagare tra le nuvole, avrei detto a mia madre: “Sapessi come è bello il cielo!”.

La prima impressione

Immagino che l’idea di volare avesse colpito la mia fantasia lasciandomi – chessò? – la sensazione dell’infinito e lo smarrimento che essa provoca. La stessa sensazione e il medesimo smarrimento che mi hanno colto quando ho letto il testo della eNews 381. Con in più quel senso di panico che afferra gli affetti da agorafobia se attraversano una grande piazza vuota: ma se questa è l’elaborazione del “nuovo che avanza” – mi sono detto – siamo sempre lì, a rammendare le solite vecchie calze.

Abbozzo di analisi

Allo stato degli atti il documento non sembra un programma ma una fiera delvintage, come se il segretario-ragazzino, chiamato a redigere un piano di lavoro lo avesse fatto ritagliando pezzi di articoli conservati nei suoi albi delle figurine. Solo pochi cenni per quanto riguarda le questioni di carattere istituzionale. Renzi e i suoi si vantano dell’attenzione suscitata dalle proposte di legge elettorale. E ne hanno il motivo, visto che solo poche persone serie (tra di esse ricordo in particolare Gianfranco Pasquino) si sono prese la briga di denunciare quanto sia assurdo proporre sistemi elettorali differenti nel funzionamento e negli effetti, sia perché correlate a specifiche situazioni non confrontabili con la nostra (il caso spagnolo), sia perché improponibili alla luce dell’ordinamento costituzionale (il sindaco d’Italia). Che dire, poi, del punto su cui svetta, con un’eleganza non comune, il titolo ‘’ Eliminazione dei politici delle province’’?

I politici anti casta

Giamburrasca si compiace del fatto che qualche migliaio di eletti nei consigli provinciali (nota bene: Renzi ha cominciato il suo cursus honorum da presidente dell’amministrazione provinciale fiorentina), in forza della leggina del suo amico Delrio perderanno la poltrona. Il bello è che questi neodirigenti nella vita hanno fatto solo politica ed hanno “tirato quattro paghe per il lesso” proprio grazie alla politica.

Genialata o sarchiapone?

Passando poi alle questioni dell’economia e al sarchiapone del job act, Matteo Renzi ha promesso un piano industriale per ciascuno dei seguenti settori nei quali dovrebbero crescere lo sviluppo e l’occupazione: cultura, made in Italy, ICT, Green Economy, nuovo welfare, edilizia, manifattura. Scommetto con i lettori che è la prima volta che ne sentono parlare e che non sono ancora riusciti a riprendersi dallo stupore, perché loro avevano pensato la stessa cosa e ora si compiacciono di aver avuto idee simili a quelle di Renzi.

I piani industriali

Quanto poi ai piani industriali, Dio ce ne scampi. Occorrerebbe tornare agli anni ’70 del XX secolo per imbattersi in analoghe propensioni da parte dei governi, caratterizzate purtroppo dai vistosi fallimenti del dirigismo in economia. In tema di lavoro ci si confronta con una sviolinata a favore degli insegnanti, che dovranno – loro malpagati, afflitti, persino derubati degli scatti di anzianità (chissà poi perché dovrebbero incassarli solo loro tra i pubblici dipendenti ?) – ritrovare un ruolo nell’ambito di una scuola riformata.

I mandarini statali

E i dirigenti pubblici? Per loro deve essere abolita ogni forma di tutela del posto di lavoro: l’instabilità diventerà la regola. Finalmente, in fondo, si arriva al cuore del Job act: quel contratto a tempo indeterminato che, riformato a dovere, “tremare il mondo fa” (come il Bologna fc prima della guerra).

Addio contratto unico?…

Si parla di “processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. E’ sparito – se siamo stati attenti – l’aggettivo “unico” ed è comparsa la parola “inserimento”. Prima di far discendere conseguenze di qualche tipo da queste novità semantiche vorremmo vedere come finisce la partita perché Renzi è capace di giocare con le parole. A volte mi ricorda un vecchio film ambientato nell’Italietta umbertina. Un ministro è chiamato a inaugurare l’adozione della macchina da scrivere nella pubblica amministrazione. Per dare avvio alla cerimonia gli chiedono di battere un tasto e, segnatamente, la lettera <I> come Italia. Il ministro si sbaglia e batte la “L”. Imbarazzo in sala, fino a quando l’uomo politico stesso (leghista ante litteram?) se la cava con un festoso “E’ l’instess: Lumbardia!”.  Tutti coloro che si sono avventurati nei meandri del ‘’contratto unico a tutela differenziata e crescente’’, da Tito Boeri a Pietro Ichino, sono concordi nel ritenere che una forma siffatta non potrà mai escludere tutte le altre anche vi fosse l’assoluta libertà di licenziamento.

La bellezza della varietà

Ci sono tipologie di rapporti che possono essere adeguatamente regolati soltanto attraverso contratti specifici (a termine, job on call, somministrazione, consulenze, ecc.). Se vogliamo essere seri e attenti alla realtà (nel 2007 la sinistra che volle abolire lo staff leasing è arrivata a riconoscere oggi che si tratta di un chiaro esempio di flessibilità buona), il rapporto prefigurato dal sindaco-segretario potrà avere un senso se diventa una revisione del contratto di lavoro a tempo indeterminato, chiamato a convivere con le altre forme, ciascuna nel suo ambito e nella sua funzione. Interessante può essere il venir meno, per un certo numero di anni, della tutela a efficacia reale sancita dall’articolo 18 sui licenziamenti. Se questo è lo sbocco, Renzi è pregato di battere un colpo.


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