Un nuovo baricentro decisionale che inevitabilmente si sposterà verso l’Atlantico, i riverberi nel ciclo produttivo italiano, la fascia “Premium” di Maserati e Alfa per il rilancio futuro: l’accordo Fiat-Chrysler “letto” per Formiche.net da Ugo Bertone, già inviato speciale alla Stampa, quindi direttore di Borsa&Finanza, ora firma del Foglio e di Libero. Bertone ovviamente parte dalla intervista odierna del capo azienda del Lingotto al direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
Sergio Marchionne dice a Repubblica “l’America ha creduto alle nostre idee e ci ha aperto le porte”: è questo il significato dell’operazione Chrysler?
In estrema sintesi sì. Gli Usa hanno creduto alla Fiat, in condizioni assolutamente eccezionali perché come ricorda l’ad in quell’intervista per un bel po’ di tempo hanno chiesto che la Fiat si impegnasse finanziariamente. E Marchionne, un po’ perché è Marchionne un po’ perché la necessità era quella, ha sempre risposto picche. Alla fine loro avevano due strade: o chiudere Chrysler e assorbire in parte la produzione in Gm, oppure puntare una fiche su questo italiano un po’ matto che bene o male è l’unico interlocutore.
Hanno scelto l’italiano matto…
L’aneddoto del momento della firma, credo senz’altro vero, è che Barack Obama con la penna in mano ha detto che da ragazzo aveva una Fiat, suscitando l’ilarità diffusa, perché funzionava come tutte le Fiat dell’epoca: bisognava prenderla a calci per farla partire.
La prima logica conseguenza dell’accordo sarà lo spostamento del baricentro decisionale più verso la sponda atlantica?
É sicuro che il baricentro gestionale del gruppo sarà Detroit, come è altrettanto sicuro che un gruppo di questo tipo e con quelle caratteristiche avrà più centri focali. Non credo che il Lingotto perderà molto di più di quello che non abbia già perduto, perché è una realtà regionale e continuerà ad esserlo.
Con quali effetti per gli stabilimenti?
Non credo che la cosa abbia un’importanza in sé: la parte del back office sarà tendenzialmente un po’ più americana, e vi sono molte ragioni. Dal punto di vista finanziario di sicuro il centro sarà Wall Street, da quello societario ci sarà una bandierina che potrà essere mantenuta a Piazza Affari, tenendo conto che già oggi i due terzi del capitale flottante non sono in mano ad italiani. Ciò è poco importante, quello che conta è creare le premesse perché ci sia uno sviluppo autonomo della tecnologia e delle scelte sul prodotto. In questo momento la Fiat brasiliana rispetto a quella italiana investe di più, ha più linee di sviluppo, ha più autonomia. Perché se l’è conquistato, perché è leader di mercato, perché vale la pena condurre certe operazioni in loco.
Perché la “fascia Premium”, Maserati e Alfa, può essere il jolly futuro del gruppo?
Senz’altro è il jolly per l’Italia, perché produrre a basso costo da noi non è profittevole: né per chi ci lavora, né per il territorio, né per l’azienda. In questo momento l’intenzione è spostarsi verso prodotti che rendano qualche lira di più. Ad oggi abbiamo un prodotto che è riuscito: Maserati.
Con quali benefici?
Beh, per riuscirci la Fiat ci ha messo vent’anni e non due giorni. E’ un brand di extra lusso con un numero limitato di vendite e non richiede una particolare complessità nella rete di distribuzione, ma va a mio parere ancora testata negli Usa dal momento che piace in Cina e avrà bisogno di più strumentazione elettronica per gli americani. La battaglia si fa acuta, come dimostra l’alleanza Google-Audi.
E le operazioni sulla fascia bassa?
Vengono spostate in Polonia, per un prodotto basic che presumo dovrà inseguire gli stessi contenuti (ed è in ritardo) rispetto a quelli di Renault, che con Dacia sul low cost è più avanti. Però hanno scoperto che la linea della 500 ha appeal tra i consumatori europei. Ma la base di tutti i problemi resta Alfa Romeo.
E’ vero che il freno in Italia è rappresentato dal sindacato?
E’ vero che l’ad di Fiat ha parlato con Obama, ma è pur vero che ha parlato – fino a scontarsi fortemente – anche con il sindacato americano. E alla fine hanno trovato un accordo, perché non si tratta di metterla in politica tenendo aperta una questione per avere un ritorno su un altro tavolo, così come si fa in Italia. Un sindacalista serio sa che alla fine un accordo bisogna trovarlo, perché non si gioca sulla pelle degli operai. E’ stata la risposta più responsabile per garantire previdenza e assistenza sanitaria ai 170mila dipendenti e pensionati. Ecco la lezione di che cos’è un sindacato. Quando nel nostro Paese la Presidente della Camera rinuncia a presenziare all’inaugurazione di una fabbrica adducendo la motivazione che in ballo ci siano diritti della Fiom anziché dell’intero mondo operaio, significa che il posto di lavoro è diventato sede di scontro con altri fini.
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