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Un referendum contro il Fiscal Compact per rigenerare l’Europa

L'agenda guerra

Promuovere un referendum abrogativo sul pareggio di bilancio, contenuto nella nuova formulazione dell’articolo 81 della Costituzione. Rimuovere per via popolare il pilastro dell’austerità finanziaria. Perché grazie a un ampio e appassionato coinvolgimento dell’opinione pubblica è possibile salvaguardare e rilanciare la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa e l’unificazione economico-monetaria. È il percorso prospettato nel convegno “In Europa con l’euro e senza Fiscal Compact: prove tecniche di referendum”, promosso ieri nella sede dell’Avvocatura generale dello Stato dall’associazione “Viaggiatori in movimento” creata fra gli altri dall’economista Gustavo Piga. E a cui erano presenti politici navigati della prima e seconda Repubblica quali Mario Segni, Giorgio La Malfa, Enzo Carra, Paolo Cirino Pomicino, Angelo Sanza, Bruno Tabacci, Cesare Salvi.

LE DIVERGENZE CON GLI ECONOMISTI ANTI EURO

L’iniziativa, che punta ad abolire i punti salienti della legge di attuazione della riforma costituzionale del 2012, ha alimentato attraverso Formiche.net la riflessione critica di Riccardo Realfonzo, Stefano Cingolani e Giuseppe Pennisi. Bersaglio privilegiato è il complesso di parametri di bilancio voluti dalla Germania di Angela Merkel e dai governi del Nord Europa, ritenuti il freno più insidioso a un processo di integrazione realizzato su basi di sviluppo. Gli avversari del Fiscal Compact rifiutano il ritorno alla lira dal cambio volatile e fluttuante, poiché reputano la valuta unica un valido scudo verso le ondate di crisi. Una prospettiva ben diversa rispetto a quella incarnata da Giuseppe Guarino, Paolo Savona e da Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Antonio Rinaldi.

LE RAGIONI DELLA CONSULTAZIONE POPOLARE

A illustrare le motivazioni del referendum sull’applicazione italiana del Fiscal Compact è il Consigliere di Stato Paolo De Ioanna, già capo di gabinetto del Ministero del Tesoro guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Per il giurista è necessario cambiare l’interpretazione del Trattato europeo sui vincoli finanziari, principale responsabile della depressione economica del Vecchio Continente. Le Costituzioni, spiega, non possono compiere una scelta di campo tra modelli economici che poi si trasformano in camicia di forza per le realtà nazionali: ostacolando l’adozione di un bilancio al 3-4 per cento del Prodotto interno lordo comunitario e la creazione di una Banca centrale prestatrice in ultima istanza.

NEGOZIARE A BERLINO A TESTA ALTA

Macro-economista esperto di gestione del debito pubblico, politica monetaria, corruzione e appalti pubblici, Gustavo Piga riassume ciò che un’applicazione rigorosa del Fiscal Compact comporterebbe per l’Italia. Un “pilota automatico” che, per portare dal 127 al 60 per cento nell’arco di vent’anni il rapporto tra debito e PIL, ci costringerebbe a tagliare del 3 per cento all’anno – 50 miliardi di euro – il passivo di bilancio. A giudizio dello studioso, una volta terminato il ricorso a privatizzazioni di “gioielli nazionali” e ad alienazioni patrimoniali pubbliche, l’obiettivo richiederebbe un aggravio fiscale o un ulteriore taglio taglio della spesa. Prospettiva in cui rischia di attecchire una risposta populista e irrazionale contro l’Unione Europea.

Per prevenire uno scenario del genere entra in gioco la proposta referendaria: “Una fantastica opportunità per discutere su un provvedimento approvato nottetempo nel Palazzo”. Ben più efficace, rileva l’economista, rispetto all’ipotesi della fuoriuscita dall’euro: “Perché, come accaduto nel 1992 con la manovra finanziaria concepita da Giuliano Amato, la svalutazione della valuta nazionale richiederebbe ulteriore austerità finanziaria per non abbandonare il paese in balia della speculazione globale”.

La strada per affrontare i problemi emersi a causa del matrimonio precoce dell’integrazione monetaria, evidenzia Piga, passa per gli Stati Uniti d’Europa. Per questo motivo i paesi mediterranei dell’Euro-zona devono ottenere dalla Germania l’avvio di politiche espansive, che permettano un disavanzo annuale del 3 per cento. Progetto giudicato velleitario dall’ex leader repubblicano Giorgio La Malfa, per il quale l’unico strumento in grado di persuadere Berlino a mutare strategia economica è la minaccia della rottura dell’Unione monetaria.

PERPLESSITA’ E SCETTICISMO SUL REFERENDUM

Persuaso dell’impossibilità di percorrere la via referendaria è Nicola Lupo, professore di Diritto delle assemblee elettive e Diritto dell’informazione e della comunicazione presso l’Università LUISS. La legge di attuazione del nuovo articolo 81 della Carta repubblicana, rimarca il giurista, non è una norma ordinaria bensì “organica o rinforzata”, “costituzionalmente necessaria”, “relativa al bilancio dello Stato”, “comunitariamente vincolata e vincolante”. Se l’Italia non ne recepisce i contenuti, i paesi contraenti potrebbero fare ricorso alla Corte europea di Giustizia con rischio di pesanti sanzioni finanziarie. Ma vi è un elemento politico che Lupo vuole mettere in rilievo: l’introduzione di vincoli di bilancio nell’ordinamento non ci avrebbe portato al dissesto dei conti pubblici, avrebbe costituito un argine contro gli arbitri della classe politica riversati sulle generazioni future, avrebbe favorito una crescita virtuosa.

PERCORRIBILITA’ DEL REFERENDUM

Propenso alla legittimità della consultazione abrogativa è Giulio Salerno, docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Macerata. Al contrario del Concordato, puntualizza il giurista, la normativa di applicazione del pareggio di bilancio non ha richiesto nella propria genesi e approvazione, l’intervento e il coinvolgimento determinante di realtà esterne al Parlamento. Pur essendo stata votata con la maggioranza assoluta dei membri delle Camere non può essere ritenuta “rinforzata e organica”. Non tutte le sue parti sono costituzionalmente vincolate. È possibile abrogare i punti che non incidono direttamente sulla definizione del bilancio dello Stato.

Tranne il riferimento ai parametri giuridici europei, la legge non fa nessun cenno al Trattato internazionale istitutivo del Fiscal Compact, che per sua natura non riguarda l’Ue bensì gli Stati che hanno aderito alla valuta unica. A parere del costituzionalista vengono quindi meno tutti i divieti per l’iniziativa referendaria. Che potrebbe prefigurare uno scopo semplice e di grande presa nell’opinione pubblica: “Restituire al Parlamento la facoltà di decidere gli spazi di scostamento dai vincoli di bilancio comunitari”.


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