L’intesa provvisoria sul nucleare raggiunta tra Iran e i membri del gruppo dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania il 24 novembre avrà effetto a partire dal 20 gennaio. Da questa data inizieranno i sei mesi in cui sarà applicato l’accordo e avranno luogo i negoziati per l’intesa definitiva.
La strada è tracciata, ma le incognite rimangono ancora molte e l’opinione degli esperti è divisa tra chi teme un fallimento e chi, invece, è convinto del felice termine del negoziato.
Tra quest’ultimi c’è Ennio Di Nolfo, professore emerito di Storia delle relazioni internazionali all’Università degli Studi di Firenze, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché l’accordo è destinato a concludersi positivamente.
Professore, come ritiene l’accordo raggiunto con l’Iran?
Inevitabile e maturo. Storicamente, sin da tempi antichi, l’area che oggi chiamiamo Iran ha sempre avuto ambizioni di dominio sulla regione, ma senza mai perseguire una politica aggressiva. Poi una serie di episodi e i riflessi negativi delle sanzioni hanno acuito una tensione con l’Occidente che ora sta per smorzarsi definitivamente, ma che si sta allentando già da tempo. Lo dimostra il fatto che si sia scoperto che tra le diplomazie di Usa e Iran i colloqui erano iniziati già da tempo, anche durante la precedente presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, autore di espressioni molto virulente nei confronti di Israele, ad esempio.
Pensa che l’Iran terrà fede agli impegni presi?
Credo di sì. In primo luogo perché l’Iran ha bisogno di non avere più sulle spalle il fardello delle sanzioni che ne frenano l’economia. Sia l’autorità spirituale Ali Khamenei sia quella politica Hassan Rouhani si rendono conto che un Paese in profonda trasformazione demografica, che per circa il 40 per cento è composto da giovani, non può reggersi se non rimette in moto la macchina industriale e non scongela e riporta a casa capitali e crediti ora bloccati o fuggiti altrove. Sono tra quelli che credono che l’Iran non abbia mai voluto sul serio l’arma nucleare, né usarla, ma che abbia usato tale minaccia per rafforzare il proprio potere negoziale.
Come mai il presidente Obama si dichiara ancora scettico?
Il presidente americano cerca di tutelarsi, anche perché condizionato dal profondo dibattito nel Senato, diviso tra chi condivide la linea di alleggerimento delle sanzioni e chi vorrebbe inasprirle, rendendo molto difficile la progressione dell’intesa. Entrambe le parti, tuttavia, sono d’accordo sull’importanza che riveste tale negoziato. Per questo ritengo che alla fine si convergerà su una soluzione comune che passi dal dialogo con l’Iran.
Quali sono gli aspetti più positivi dell’intesa?
I termini dell’accordo sono prevalentemente economici. In cambio dell’alleggerimento delle sanzioni l’Occidente ha ottenuto una penetrazione nel mercato iraniano molto maggiore rispetto a quella che c’era prima del blocco economico. A beneficiarne saranno soprattutto le grandi compagnie petrolifere, ma anche gli scambi commerciali in molti settori. Ma con questo accordo Washington segna anche un “goal” geopolitico. Mentre nel mondo islamico infiamma la lotta tra sunniti e sciiti, questa intesa ottiene da un lato il risultato di contenere la presenza di Russia e Cina, dall’altro – unitamente alla rivoluzione di shale oil e gas – quello di riequilibrare i rapporti importanti, ma non più fondamentali nel mondo arabo con Paesi come l’Arabia Saudita, l’Iraq, la Giordania. Tutte nazioni a guida sunnita – a differenza degli sciiti Iran e Siria – che potrebbero contribuire ad alimentare la minaccia del terrorismo rappresentata da Al Qaeda e dai gruppi ad essa collegati.
Nel negoziato è stata la Francia a rappresentare gli interessi delle petromonarchie del Golfo, opponendosi fino all’ultimo a un accordo. Come giudica la posizione di Parigi?
Su questo tema c’è in atto un dibattito tra i teorici di politica internazionale sul ruolo che gli Usa vorrebbero affidare in Medio Oriente ai partner più importanti dell’alleanza atlantica, tra cui Francia e Regno Unito. Obama, non avendo più intenzione di far svolgere agli Stati Uniti il ruolo di “poliziotto del mondo” come diceva Nixon, vuole servirsi della Nato e di questi Paesi amici per far fare quello che gli Usa non vogliono o non possono più fare. Per cui, la posizione della Francia è stata sì legata ai forti interessi economici che la legano ad Arabia Saudita e Qatar e allo storico protagonismo militare nella regione, ma anche da queste riflessioni inerenti alle relazioni transatlantiche.
Che riflessi avrà l’accordo sull’Italia?
Il nostro Paese avrà tutto da guadagnare da un Iran maggiormente in salute. Non solo per gli accordi energetici che potranno coinvolgere l’Eni, ma anche perché siamo un Paese tradizionalmente amico di Tehran, a cui ci lega un rapporto quasi “sentimentale”. Non è un caso che l’ultimo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, quando nel 1979 fuggì dall’Iran della Rivoluzione Islamica, venne a rifugiarsi proprio a Roma.