Un tessuto capillare di collegamenti che potrebbe rivelarsi un volano per la modernizzazione infrastrutturale e la rinascita produttiva. Ma che non riesce a esprimere il suo potenziale e la capacità di investimento a causa di un’articolazione economica frammentata, di una selva labirintica di autorizzazioni e controlli, di un regime tariffario multiforme, poco comprensibile, spesso arbitrario. Poche luci e molte ombre caratterizzano il panorama delle concessioni autostradali nell’Italia del terzo millennio. Almeno esaminando il quadro disegnato alcuni giorni fa dal titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, in Commissione Trasporti e Comunicazioni del Senato, mentre erano in corso trattative con l’associazione Aiscat delle imprese del settore per un accordo sugli sconti ai pendolari delle autostrade proposto dal ministro e in seguito raggiunto a grandi linee.
LA MAPPA EUROPEA
La rete autostradale italiana è costituita in gran parte dalle arterie realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta. Grazie allo strumento della concessione, il nostro Paese poteva vantare un tessuto di collegamenti all’avanguardia rispetto a quasi tutti i Paesi europei. A seguito del blocco nella realizzazione di nuove tratte stabilito nel 1975, dagli anni Ottanta fino al 2000 gli interventi sono stati indirizzati all’incremento degli standard di qualità e di sicurezza. Al contrario di quanto avvenuto negli altri Stati dell’Ue, che attraverso significativi investimenti oggi dispongono di una dotazione più capillare. È sufficiente valutare il tasso di aumento della rete stradale tra il 1990 e il 2012 per rendersene conto: l’Austria presenta una crescita del 757 per cento, il Portogallo del 426, la Grecia del 90, la Spagna dell’80, la Francia del 62. L’Italia registra un +9 per cento con un’estensione complessiva di 7.438,3 chilometri.
LO STATO DELLE CONCESSIONI
Ad affidare in concessione le arterie di collegamento nel nostro Paese sono una serie di istituzioni. La prima è il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, cui fa capo la maggior parte della rete con 5.821,5 chilometri di strade gestite a pedaggio da 24 gruppi privati. La seconda è ANAS, società pubblica sottoposta alla vigilanza del Dicastero di Porta Pia, che gestisce in tutto 953,8 km, direttamente o in compartecipazione con aziende regionali. La terza è il complesso di società regionali per le infrastrutture esclusivamente territoriali. Nessuna delle quali è stata attivata.
UN QUADRO ETEROGENEO
Nel confronto con il network europeo si riscontra l’eccessiva frammentazione e asimmetria della nostra rete. Un’unica realtà concessionaria, Autostrade per l’Italia, gestisce oltre la metà dei collegamenti con 2.854,6 chilometri. Mentre in media l’ampiezza delle tratte gestite dalle singole società è di 126 km. Nel resto d’Europa si registra un numero di gestori inferiore con un maggiore sviluppo delle comunicazioni in concessione. In Francia, su 20 compagnie ben 5 controllano strade di primaria importanza per oltre mille chilometri.
L’eccessiva dispersione degli operatori economici e la loro limitata dimensione costituisce un ostacolo all’attuazione degli investimenti e a una gestione efficiente, secondo Lupi. Elementi aggravati dalla crisi economica e dalla conseguente riduzione dei volumi di traffico: -7,37 per cento nel 2012, tra il 4 e il 6 per cento nel primo semestre 2013. Le minori capacità di auto-finanziamento e la scadenza ravvicinata della concessione limitano fortemente gli spazi di accesso al credito e il reperimento delle risorse.
FERME LE OPERE IN PROJECT FINANCING
Alternativo all’affidamento tramite gara della gestione di nuove tratte, l’istituto del Project financing favorisce la progettazione, costruzione e gestione di un’opera pubblica ad opera di un soggetto privato da parte della pubblica amministrazione. L’iniziativa è finanziata, integralmente o in buon parte, con le risorse prodotte dal controllo dell’infrastruttura e comporta un onere minimo per lo Stato. Finora sono state presentate proposte di realizzazione di nuove tratte per 647 chilometri e per 13,5 miliardi di investimenti. Ma i lavori non sono iniziati, a causa dell’accavallarsi di competenze territoriali e dei numerosi contenziosi che ne scaturiscono. Il risultato è eloquente. Per le opere del valore superiore a 500 milioni di euro i tempi medi di approvazione, tra Conferenza dei servizi e valutazioni di impatto ambientale, arrivano a 43 mesi. Per quelle al di sotto dei 500 milioni toccano i 22 mesi.
LE NUOVE REGOLE
Per superare tali carenze nel 2006 è stata introdotta la “Convenzione unica” tra istituzioni e società concessionarie. Le nuove regole disciplinano in misura più rigorosa l’allocazione dei rischi, la remunerazione dei capitali investiti, le modalità di adeguamento tariffario. Regime calibrato in base all’evoluzione del traffico, alla dinamica dei costi, al tasso di efficienza e di qualità del servizio fornito, alla solidità patrimoniale della compagnia, alla trasparenza nell’affidamento dei lavori, ai requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza per gli amministratori. Se tali condizioni non vengono rispettate, il Ministero dei Trasporti e l’ANAS possono infliggere multe tra 25mila e 150 milioni di euro.
LA DURATA DELLE CONCESSIONI
Fattore di incertezza giuridica ed economica è l’estrema varietà nei tempi di scadenza delle concessioni autostradali, come confermano i numeri delle principali compagnie di gestione.
Autostrade per l’Italia ha firmato nel 2007 la nuova convenzione, entrata in vigore nel 2008 e valida fino al 2038. Autovie Venete vedrà il termine dell’accordo nel 2017 mentre il contratto per la gestione della Brescia-Padova si è concluso nel 2013. L’anno precedente ha avuto fine la concessione per Autostrade meridionali, e la gara per riassegnarla è tuttora in corso. Ravvicinata – aprile 2014 – l’estinzione del rapporto con Autostrada del Brennero che vale 3 miliardi. Più lunghi, fino al 2028, i tempi per la Milano-Serravalle e Milano-Tangenziali. Attualmente è in atto il rinnovo per la concessione della A21 Piacenza-Cremona-Brescia del valore di 683 milioni, e della A3 Napoli-Salerno per una somma di quasi 800 milioni.
I BILANCI DELLE CONCESSIONARIE
Il costo del canone di concessione che le aziende di gestione devono pagare – al Ministero per il 58 per cento e all’ANAS per il 42 – è fissato al 2,4 per cento dei pedaggi al netto dell’IVA. La cifra complessiva nel 2013 è pari a oltre 733 milioni di euro.
Nel 2013 il volume di investimenti complessivi effettuati dalle concessionarie ha oltrepassato i 2 miliardi – 608 milioni per la manutenzione – di cui 1 miliardo e 223 milioni realizzati da Autostrade per l’Italia. Tra il 2008 e il 2013 le spese totale hanno sfiorato gli 11,5 miliardi – quasi 4 per manutenzione – di cui 6,7 ad opera dell’azienda controllata dai Benetton. Ad oggi sono in corso 190 interventi per un valore di circa 9 miliardi. L’importo per i progetti approvati negli ultimi cinque anni è pari a 20,7 miliardi. I lavori completati al 30 settembre 2013 hanno prodotto entrate per 0,6 miliardi mentre le opere in corso garantiscono l’afflusso di 8,7 miliardi. Considerando i ricavi, gli investimenti e il costo del canone, nel quinquennio si può registrare per le aziende del settore un utile netto pari a 8,467 miliardi di euro.
Nel 2014 gli interventi richiesti alle società concessionarie si attesteranno su 2,5 miliardi, mentre il programma 2013-2020 prevede spese per 26.568 miliardi, di cui 6,7 da Autostrade per l’Italia, 3,5 da Autostrada del Brennero, 5,6 da Strada dei Parchi.
IL REGIME TARIFFARIO
Requisiti per determinare i pedaggi autostradali sono la garanzia della qualità del servizio, gli investimenti adeguati corrispondenti a un ritorno economico, il tasso di inflazione effettiva. Le tariffe, a cui va aggiunta l’IVA, vengono adeguate ogni anno su richiesta delle aziende concessionarie e decisione del dicastero dei Trasporti e del Tesoro. Per evitare arbitri nella definizione dei costi, esistono tabelle stabilite dal Comitato interministeriale per la programmazione economica secondo la dimensione della macchina e la categoria di strada. Attualmente ne esistono 6, fonte di un’eccessiva e poco ragionevole diversificazione di pedaggi. Con l’unica certezza dell’aumento dei prezzi.
È evidente anche in questo terreno la necessità di semplificare uniformando i regimi tariffari. Forse consapevoli di tale inadeguatezza, Lupi e il governo hanno deciso di compiere un primo passo. A partire da febbraio e fino al 31 dicembre 2015, sull’intera rete autostradale i costi saranno ridotti del 20 per cento per i pendolari che utilizzano una tratta almeno 20 volte al mese.