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Tutte le incognite della spending review di Cottarelli

Ridurre la spesa pubblica di 32 miliardi di euro entro il 2016 per tagliare le tasse su imprese e lavoro. Si può riassumere così l’ambizioso progetto illustrato dal Commissario per la spending review Carlo Cottarelli nella tavola rotonda sulle riforme strutturali promossa ieri dall’associazione “Capitale Roma” e dalla “Fondazione Eunomia” nella sede della Stampa estera.

Il ripensamento globale dell’uso delle risorse collettive dovrebbe costituire il fulcro dell’agenda economica. L’ammontare della spesa pubblica corrente è pari a 400 miliardi, di cui 115-120 in campo sanitario. Terreno intoccabile in Italia, che fu tagliato per 20 miliardi a Berlino dal governo di Gerard Schroeder per far ripartire l’economia tedesca. Al prezzo della sconfitta nelle urne. Ma con risultati di ampio respiro che Angela Merkel gli riconosce oggi.

PERCHE’, COME E DOVE TAGLIARE

Finalità primaria della spending review, ha spiegato Cottarelli, è il taglio netto dell’elevato cuneo fiscale su lavoro e impresa, più alto di 35 miliardi rispetto ai Paesi europei più avanzati. Rimuovere un freno allo sviluppo produttivo, precisa l’economista a lungo attivo nel Fondo monetario internazionale, non comporta un’adesione dogmatica all’idea di Stato minimo: “Perché se un’eccessiva presenza delle istituzioni pubbliche nel mercato è distorsiva, gli investimenti statali per il Welfare e per una buona distribuzione del reddito possono contribuire alla crescita”. La strada, quindi, è orientare la spesa su pochi obiettivi strategici intervenendo sugli sprechi con rigore.

I NUMERI SULLA SPESA PUBBLICA

Attualmente, osserva il Commissario governativo, le uscite complessive dello Stato ammontano al 43-46 per cento del Prodotto interno lordo. Cifre notevoli se pur non lontane dal livello medio delle nazioni dell’area euro. Con la differenza di un debito pubblico incomparabile rispetto ai nostri partner. È per tale ragione che l’Italia non può spendere come gli altri, che in ogni caso stanno riducendo spesa e tasse – tra 50 e 55 miliardi di euro in Francia –  E per questo motivo, rileva lo studioso pronto per fine marzo a fornire tutte le raccomandazioni al Comitato interministeriale per la spending review, entro il 2016 il nostro paese deve risparmiare 32 miliardi in uscite primarie, pari al 2 per cento del PIL.

COME RIDURRE LA SPESA SENZA INTACCARE IL WELFARE

A giudizio di Cottarelli, bisogna sfatare il mito per cui in Italia è impossibile incidere sulla spesa pubblica. Ma allo stesso tempo è necessario farlo con un ripensamento radicale del ruolo dello Stato e senza smantellare la rete del Welfare. A partire dal 2009 le uscite totali dello Stato sono diminuite del 10 per cento, quelle sanitarie sono rimaste invariate, quelle pensionistiche sono cresciute del 7 per cento. Esistono gli spazi per colmare tali squilibri. Fino a oggi, però, i tagli sono stati compiuti in forma lineare e in assenza di riforme strutturali finalizzate a ottenere risparmi permanenti e di lungo termine. È in tale orizzonte che si inseriscono le proposte “coraggiose e realistiche” a cui sta lavorando l’economista. Progetti che implicano da parte della politica “la più ampia trasparenza nei conti delle pubbliche amministrazioni a ogni livello, comprese le aziende partecipate dagli enti locali”.

LE RIFORME TARGATE PD

Apprezzamento per gli obiettivi verso cui muove Cottarelli è manifestato dal parlamentare del Partito democratico Dario Nardella. Per il quale è bene procedere alla razionalizzazione delle istituzioni e alla semplificazione di regole e funzionamento della pubblica amministrazione: “Perché una burocrazia che non funziona costa 31 miliardi in più”. Le innovazioni costituzionali al centro del confronto politico, rimarca l’esponente del Nazareno preannunciando l’impegno per l’eliminazione del CNEL “che costa 20 milioni”, vanno in tale direzione e produrranno risparmi a regime per 1 miliardo di euro annui. Altro punto dirimente per il PD di Matteo Renzi è il ritorno a un esecutivo con 12 ministeri e il taglio di risorse organizzative e per consulenze.

Poi, puntualizza il deputato, è necessario liberarci dal macigno di regolamenti attuativi delle leggi, che non prevedono termini perentori e il cui prezzo che si riversa sull’economia reale. E ricondurre la legge di stabilità agli originari fini razionali, strategici, non settoriali, immediatamente vincolanti. Nel terreno della salute, la stella polare è “intervenire in termini qualitativi soprattutto sui costi standard e sul prezzo dei farmaci, rifiutando le drammatizzazioni e garantendo l’universalità dei servizi alle persone senza cedere a logiche di privatizzazione”. Un esempio? Nel nostro paese, ricorda Nardella, gli oltre 200mila letti pubblici costano ciascuno 900 euro al giorno, mentre l’assistenza quotidiana mirata alle persone lungo-degenti ammonterebbe a 200 euro.

ADESIONI E CRITICHE DEI VENDOLIANI

Culturalmente affezionato a una visione positiva dell’intervento pubblico nell’economia, il presidente del gruppo di SEL a Montecitorio Gennaro Migliore ha elogiato nelle parole del Commissario governativo l’esigenza di massima limpidezza nell’utilizzo e nella destinazione delle risorse collettive. Mentre denuncia la volontà di Palazzo Chigi di “ricoprire l’obiettivo proclamato della revisione della spesa pubblica con clausole di salvaguardia che in assenza di risultati prevede nuovi rincari di accise e tributi”. Non si comprende, osserva il parlamentare, come mai a tagli precisi non corrisponda mai un’analoga riduzione delle tasse per le attività produttive. Le sue perplessità e obiezioni riguardano le finalità della spending review: per Migliore le risorse che se ne ricavano devono essere convogliate non soltanto verso il taglio del cuneo fiscale ma anche verso la creazione di garanzie pubbliche per investimenti produttivi anti-ciclici.

Riguardo ai capitoli di intervento, il capogruppo della formazione guidata da Nichi Vendola mette in guardia dal rischio di ripetere i “tagli lineari che abbassano il livello qualitativo dell’offerta, in un’ottica angusta e miope del rapporto costi-benefici”. Rileva come nel comparto sanitario che non costa molto di più rispetto alla Germania, tra il 2002 e il 2009 le uscite siano cresciute di poco più del 2 per cento all’anno. Autentico problema è l’aumento delle disparità territoriali, per cui si rende necessaria un’incisiva razionalizzazione ed eliminazione degli sprechi: “Compresi i rimborsi regionali delle aziende private della salute, che nel Mezzogiorno non sono tutte efficienti”.

LA SPESA PUBBLICA VISTA DA NICOLA ROSSI

Fortemente contrario alla ricerca di ampia condivisione e compromesso sul tema della revisione e riduzione delle uscite statali è l’economista Nicola Rossi. A suo parere la spending review costituisce l’iniziativa politica per eccellenza, poiché implica una visione del ruolo e della dimensione dello Stato e del rapporto tra istituzioni e cittadini. Per l’ex parlamentare liberal del Partito democratico è altamente desiderabile trovare un’ampia adesione sul fronte delle riforme istituzionali ma non sul tema della spesa pubblica: “Perché negli ultimi 70 anni l’accordo di tutti ha prodotto l’esplosione irresponsabile del debito, che ha contribuito a impoverire il nostro paese”.

Per questa ragione, spiega l’ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni, il taglio di spesa-debito-tasse deve rappresentare un elemento cruciale di divisione e confronto politico-elettorale. Non può essere affidato alle scelte di una burocrazia che ne è intrinsecamente incapace. A Nardella Rossi ricorda che non bisogna fermarsi al CNEL: “È tollerabile l’assetto universitario e giudiziario attuale?”. Anziché ricorrere alla parola “riqualificazione”, inadeguata quanto rassicurante, lo studioso esorta le forze politiche a rendere socialmente tollerabile il prezzo della riduzione strategica delle risorse statali. Risiede in questo “compito pedagogico” lo spartiacque per l’ingresso nella terza Repubblica.



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