È uscita qualche giorno fa un’indagine di Swg sulla composizione dell’elettorato del Movimento 5 stelle. Alessandro Gilioli ha commentato i dati su l’Espresso, insieme al capogruppo alla Camera Federico D’Incà – 38 anni, veneto di Belluno – e Azzurra Cancelleri – 30 anni, siciliana di Caltanissetta – segretario della commissione Finanze sempre a Montecitorio.
Quello che è risultato dalle rilevazioni è un po’ quello che ci si aspettava: un elettorato che travalica (nemmeno troppo: il 39%) il concetto di “destra e sinistra”, rappresentato per un terzo da under 35, composto soprattutto dalle fasce economicamente più deboli (quelle che hanno difficoltà ad “arrivare a fine mese” o che si considerano tali), molto legato alla figura di Grillo (leader politico preferito con l’83% di consensi) anche se in uno strano corto circuito sembra che pure Renzi raccolga gradimento (il 35% degli elettori pentastellati, considera le sue politiche «innovative»), tendenzialmente euroscettici (il 63% ritiene che l’Unione Europa abbia portato più svantaggi che svantaggi), altrettanto scettici sull’immigrazione (per il 54% gli immigrati vanno «respinti», per altrettanti godono di «privilegi»; dati che si attestano ben sopra la media del pensiero nazionale, che gira intorno al 40%).
La replica di commento dei due leader sentiti da Gilioli, è altrettanto in linea con le aspettative. Rispettivamente, le ragioni delle questioni sopra elencate sono da individuare in: «I cittadini stanno capendo che destra e sinistra sono formule superate» (D’Incà); «Un dato che coincide con la diffusione di Internet, prima di tutto: poiché che la nostra capacità di avvicinare gli elettori avviene soprattutto attraverso la Rete» (D’Incà); «In questo momento la percentuale maggiore di disoccupazione e di difficoltà è fra i giovani, come si diceva: questo dato quindi va messo in relazione con quello sull’età» (D’Incà); «Forse anche perché ha cercato di copiare i nostri cavalli di battaglia, come i costi della politica, ma poi sono i fatti a dimostrare le differenze. Il Pd finora non ha realizzato nemmeno un taglio» (Cancelleri); «Siamo vicini agli Indignados spagnoli e al movimento di Occupy Wall Street. Più in generale, a un fermento di cui siamo la punta più avanzata» (Cancelleri); «Sì, ma non parliamo di razzismo, per favore, queste risposte rappresentano la reazione dei ceti più deboli alla concorrenza rappresentata dai lavoratori stranieri» (D’Incà) e ancora «In questo clima di incertezza anche l’immigrato viene visto come un avversario» (Cancelleri).
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Nei giorni in cui il sondaggio veniva reso pubblico, si consumava l’orribile episodio – incommentabile – parlamentare: sono state spese parole, parole forti, parole evocative, parole pesanti. Probabilmente tutte giuste, ma le più giuste sono quelle che compongono la definizione – non ricordo quale sia la fonte per cui mi scuso per la mancanza della citazione – «una scolaresca in gita». In effetti.
In quegli stessi giorni, Alessandro Di Battista, classe 1978, romano, Vicepresidente della III Commissione (Affari esteri e comunitari), eletto alla Camera dei Deputati, è stato impegnato in un importante giro mediatico. Dalla scenata contro Roberto Speranza (Pd) – con tanto di sfogo in primo piano davanti alle telecamere sul posto, stile Richard Sherman post-manata di Crabtree, dev’essere stato il clima da Super Bowl, chiuso con un drammaturgicamente rombante «State rubando il pane agli italiani» – fino all’ambito bancone di Daria Bignardi a “Le Invasioni Barbariche”. Non c’è da commentare l’intervista, banale nelle risposte, così come era attesa e scontata la banalizzazione del “media avverso”, che le prova tutte «per togliere di mezzo l’unica opposizione». Parole del responsabile comunicazione del partito, Claudio Messora (che a dire il vero nelle ultime ore comunicativamente ne aveva combinate anche di più grosse: lo scivolene da bettola sulla Presidente della Camera (sempre via Twitter), poi cancellato, non era sfuggito alla Rete – che dovrebbe essere il grosso della costituency, e che invece sempre più spesso si rivela fact checker irreprensibile -, e la dice lunga sulla concezione che lo stesso Messora ha del cazzeggio tra amici in un social network e le relazioni istituzionali di un funzionario di partito, per altro incaricato proprio alla cura delle comunicazioni).
Ma anche questo era abbastanza scontato: venerdì è toccata alla Bignardi, domani a qualcun altro. Tanto il punto è che chiunque si azzardi a criticare o a incalzare un qualche membro del M5S, passa sotto la scure del voler mettere il bavaglio alla democrazia, di volerli eliminare, dell’essere contro – un po’, per banalizzare diciamo, simile a quel “chi non è con noi, è contro di noi” – che mette insieme il vittimismo, la presunzione del saperlalunghismo, e un bel po’ di mania di persecuzione.
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Meno banale è invece quello che è successo contemporaneamente a quei polveroni acchiappa chiacchiere – dei giornali, dei politici, di tutti noi, me compreso ovviamente – utile per infittire le fila, in vista di una campagna elettorale che tra un paio di mesi inizierà (mi riferisco ovviamente alle elezioni europee, ma chissà…) e che vede i 5 Stelle assolutamente vergini. Serve, serviva, riposizionarsi, rialzare l’audience popolare, attirare di il riflettore del consenso, aumentare il volume.
Meno banale, si diceva, quello che nel frattempo succedeva in altri luoghi, o meglio, in altre stanze dello stesso luogo, il Parlamento. E perché mentre c’era tutto quel polverone in giro, con tutto il “circo mediatico” movimentato dal Movimento, c’era anche qualcuno che lavorava a questioni importanti. E così, per colpa di quella bussola smarrita, o di quella priorità sballata, che ha portato i parlamentari grillini a movimentarsi come un gruppo di balene impazzite, sfuggivano ai più due vicende.
La prima l’ha raccontata in un tweet Giuditta Pini, classe 1984, da Carpi, deputata del Partito democratico, membro della IV Commissione (Difesa). Risulta infatti che nella serata del 31 gennaio, è stato approvato il ddl “Terra dei fuochi” alla Camera, ma il Movimento 5 Stelle era assente, non ha votato: i rappresentanti erano tutti in albergo a celebrare l’altro grande passaggio di questi giorni appena trascorsi, l’arrivo di Beppe Grillo a Roma. Visita che a dire il vero sarebbe da segnare tra le cose meno banali successe, perché al di là delle considerazioni sui «propri guerrieri» e sulla «nuova resistenza», Grillo è arrivato nella capitale per dare un po’ una frenata alle esagitate iniziative dei suoi, per ripristinare un po’ di contegno e dignità istituzionale – anche perché Grillo, che la sa più lunga dei suoi parlamentari, si rende perfettamente conto che le scalmanate alzate d’ingegno di Di Battista & friends possono essere un boomerang elettoralmente parlando.
La seconda (o la terza vedete voi) riguarda una storia che è finita meno bene. Si parla sempre di votazioni parlamentari avvenute in quei giorni, e si torna sulla questione dell’ostruzionismo del Movimento. A raccontarla stavolta è Daniele Farina, classe 1964, milanese, deputato di Sel, vicepresidente delle II Commissione (Giustizia). Stavolta è finita peggio, si diceva: per colpa del Movimento 5 Stelle, infatti, causa “esame non concluso in Commissione (Giustizia), non verrà ripresentato l’emendamento che tornava a differenziare le pene detentive tra la cannabis e le altre droghe. Sulla questione, si prevedeva, ha fatto gioco duro la Lega, ma grazie alle bravate del M5S (occupazioni e via dicendo), non si è potuto esaminare fino in fondo e dunque tutto è restato – male – come stava.
Ma di questo i Di Battista si dimenticano di parlare.