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Serve leader di centrodestra unto dalle primarie

Con l’Italicum alle porte ormai la cornice delle future geometrie politiche è stata stabilita. Questo fatto costituisce per tutti un vantaggio enorme rispetto alle ultime elezioni del 2013 che furono preparate fino alla fine nell’incertezza derivante dal possibile cambiamento, in realtà mai avvenuto, della legge elettorale.

Con i debiti scongiuri, la prossima volta sapremo con largo anticipo non soltanto come, ma anche per mezzo di quali circoscrizioni e tipi di alleanze sarà possibile tentare per ciascuna formazione politica di partecipare e di vincere la competizione.

È facile costatare che già in quest’ottica i partiti si stanno organizzando alle prossime amministrative ed europee, pensando appunto agli spazi concreti e ai costi che potranno essere occupati e impiegati. Il fattore tempo, in politica, è sempre una variabile assoluta. E muoversi subito nella direzione di un’alleanza organica e solida costituisce l’obiettivo immediato e finale sia del centrosinistra sia del centrodestra.

Benvenuta, insomma, Terza Repubblica!

Il vantaggio di Matteo Renzi, vero catalizzatore delle riforme, non risiede, tuttavia, a livello politico nella sua certezza di vincere a mani basse le elezioni al primo turno, ma nella sicurezza di poter sfruttare il ballottaggio a proprio vantaggio, facendo convergere su di sé buona parte degli elettori grillini, più vicini al Pd che a Forza Italia, al contrario di quanto si pensi di solito. Il vantaggio invece di Silvio Berlusconi sta nella maggiore semplicità con cui, probabilmente, gli sarà possibile aggregare attorno a sé l’area opposta alla sinistra, da Casini fino alla rinata Alleanza Nazionale.

Alcune incognite, tuttavia, aleggiano sopra questo processo riorganizzativo nel centrodestra. Il primo e più importante è costituito dalla leadership vera, cioè quella figura che effettivamente potrà candidarsi a Palazzo Chigi in nome di tutti. Già, perché sebbene Berlusconi abbia conservato intatta la sua funzione acchiappavoti, sulla sua persona pende a oggi, vale a dire se non vi sarà un intervento contrario del tribunale internazionale, l’interdizione dai pubblici uffici e la connessa incandidabilità. Un grandissimo problema, è inutile nasconderlo. La prossima campagna elettorale non sarà, infatti, per il Cav. uguale alle precedenti. Non gli sarà possibile, ad esempio, andare personalmente sul territorio e parlare direttamente con la gente. Questo non implica, ovviamente, che non utilizzerà il fattore bavaglio per raccogliere perfino maggiori consensi, ma l’efficacia diretta, punto di forza impareggiabile di Berlusconi, non è certo che possa essere sfruttato come sempre.

Inoltre, se egli decidesse di essere comunque personalmente il capo dell’alleanza di centrodestra, sarà difficile spiegare ai cittadini indecisi che i voti dati a lui non potranno poi essere usati da lui stesso come capo del governo in caso di vittoria.

Ecco pertanto che, al netto di queste valutazioni, nella logica unitaria del centrodestra di sicuro dovrà essere messa sul tavolo l’opportunità della sua leadership.

Le posizioni, in questo senso, sono eterogenee. Se la Lega e la Destra si porranno questione unicamente dopo aver saputo la decisione del leader di Forza Italia, il Ncd ha già fatto trapelare per bocca di Angelino Alfano la preferenza sensata per il metodo delle primarie di coalizione. Non è detto, d’altronde, che nel momento decisivo, quando cioè si dovrà effettivamente lanciare l’anti-Renzi, Berlusconi non tiri fuori un asso dalla manica, ad esempio Marina o Barbara Berlusconi, per ora non disponibili, o qualche altro coup de théâtre adesso imprevedibile.

In questo scenario Pierferdinando Casini potrebbe affiorare, ovviamente a solo titolo personale, come una scelta di mediazione. Se fosse lui a guidare la coalizione, sarebbe vincolato alla coalizione, salvaguardato cioè dal canto di qualche sirena trasformista, non si sa mai, che potrebbe giungergli alle orecchie. Il limite di Casini non è certo la mancanza di esperienza, ma semmai le riserve di Lega e Destra, che potrebbero non sentirsi garantiti a pieno dalla sua matrice centrista.

Non è impossibile, ma non è neanche molto probabile, che Alfano assuma le redini unitarie. Su di lui vi è la spada di Damocle dei forzisti, i quali, come azionisti di maggioranza, mal digerirebbero farsi rappresentare da un infedele, sia pure pentito e tornato a casa.

Guardando la situazione nella sua interezza è chiaro che le primarie, nonostante non siano l’unico modo per individuare un capo, finiscono per essere la strada maestra, rimandando la preferenza ai futuri elettori. Inoltre, un’investitura di questo tipo, il caso Renzi insegna, conferisce una legittimazione forte alla persona, difficile da contestare in seguito.

In ogni caso, anche tralasciando questi ragionamenti, vi è un presupposto politico fondamentale che ha una precedenza rispetto all’individuazione della leadership, e riguarda la compattezza e l’organicità dell’alleanza. E’ chiaro che nessuna singola persona, anche il carisma stesso di Berlusconi, possa tenere unita alla lunga un insieme di realtà così differenti. E, checché se ne dica, non è neanche un programma unitario che può farlo. La contingenza degli avvenimenti presenta sempre incognite non previste. La saldatura tra le diverse componenti deve, invece, emergere da un chiaro riconoscimento di una serie di valori comuni opposti e contrari al centrosinistra. Il cittadino sceglie quando è netto l’aut-aut, non quando si codifica l’ambiguità o si rimuovono le specificità.

Ricostruire l’Italia come una società basata sui diritti della persona, sulla famiglia, sul valore della sovranità comunitaria, locale e nazionale, rivolgendosi in modo solidale ai ceti produttivi e reclamando all’Europa i nostri interessi legittimi, è senza dubbio il migliore investimento per giungere velocemente a cementare tradizioni diverse come quella del cattolicesimo moderato, del federalismo settentrionale e del riformismo liberale nella nuova casa unitaria del popolarismo conservatore.

E’ auspicabile, in fin dei conti, che il centrodestra non cada nella solita trappola pragmatista e velleitaria di pensare di essere nemico della cultura, invece che avversario della sinistra, magari sognando che un leader e un programma creino i valori. Perché è vero esattamente il contrario: sono i valori autentici che uniscono, producono programmi, generano leadership e garantiscono il consenso.

Il consiglio finale è la speranza che sia aperto un cantiere d’idee in grado di far riflettere e di enucleare questi riferimenti ideali del centrodestra, come avviene in tutto il mondo, isolando il codice genetico e demandando, poi, com’è giusto, ai singoli soggetti politici la loro consecutiva declinazione specifica.

Il leader, insomma, chiunque egli sarà, dovrà inevitabilmente dotarsi di strumenti intellettuali solidi per convincere i partner della sua rappresentatività e spingere gli elettori alla partecipazione. Ciò vale ancor più se il suo nome non sarà quello di Silvio Berlusconi.



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