Il percorso di ricomposizione degli schieramenti che saranno protagonisti della prossima campagna elettorale è iniziato. Grazie all’accelerazione impressa da Matteo Renzi sul terreno delle riforme istituzionali e a un meccanismo di voto che promuove una dinamica politica fondata sul “bipolarismo pluralistico”, l’universo del centro-destra ha cominciato un processo di riorganizzazione in un’alleanza a più voci tra gruppi differenti. Percorso che tuttavia apre e alimenta più di un interrogativo. La riedizione della Casa delle libertà che vinse trionfalmente nel 2001 è il contenitore adeguato per dare voce alla galassia di forze alternative al Partito democratico? E quali saranno i pilastri programmatici di una coalizione percorsa da spinte e fermenti conflittuali in campo economico e nel rapporto con l’Unione Europea? Formiche.net ha sentito Domenico Fisichella.
Autorevole studioso del legame profondo tra modelli costituzionali, sistemi elettorali e sviluppo dell’assetto democratico, ministro dei Beni culturali nel primo governo Berlusconi, vicepresidente del Senato per 10 anni, Fisichella nell’autunno 1992 con due editoriali apparsi sul “Tempo” auspicò la creazione di “un’alleanza nazionale” per liberare la destra dallo stato di ghettizzazione politica in cui versava ed era stata confinata per decenni al fine di renderla protagonista della democrazia governante e competitiva che proprio in quei mesi si tentava di costruire nel nostro paese.
Vennero gettati allora i semi del processo che culminò nella svolta di Fiuggi dando vita ad Alleanza Nazionale. Formazione da cui il politologo scelse di staccarsi nel novembre 2005, all’indomani dell’approvazione della revisione costituzionale promossa dal centro-destra su impulso del Carroccio e imperniata sulla cosiddetta “devolution”. Fisichella è autore di molteplici pubblicazioni scientifiche e storiche, da pochi giorni è nelle librerie, edito da Carocci, il suo libro intitolato “Dittatura e Monarchia. L’Italia tra le due guerre”.
Professore, ritiene realistico e auspicabile lo scenario di una rinnovata Casa delle libertà?
Forse rappresenta l’avvio di un percorso politico, ma deve affrontare molte sfide rilevanti. Vi sono passaggi che costituiscono punti interrogativi tuttora aperti. A maggio voteremo per il Parlamento europeo. Essendo previste regole proporzionali con soglia di accesso del 4 per cento, bisogna vedere come si articolerà lo schieramento del centro-destra. È possibile che ciascuno dei partner correrà per conto proprio. Poi è necessario attendere la votazione parlamentare definitiva sul nuovo sistema elettorale, che sembra avverrà solo al compimento delle ipotetiche e ipotizzate riforme costituzionali riguardanti il Titolo V e il nuovo ruolo e composizione del Senato. Ma rilevo un’altra incognita.
Quale?
Il quadro delle forze centriste che vanno divaricandosi. Al contrario di quanto accadrebbe in una dinamica bipartitica, nell’assetto bipolare promosso e favorito dall’Italicum il centro può esercitare un ruolo importante. È però bastato che Pier Ferdinando Casini si sia orientato per il recupero di un rapporto con Silvio Berlusconi perché nell’UDC, nei Popolari per l’Italia di Mario Mauro e in Scelta civica venissero suscitate critiche e obiezioni. Al punto che il gruppo fondato da Mario Monti è propenso a un’alleanza con il PD. Partito quest’ultimo che, nonostante possa contare su un leader giovane, attivo e motivato, avrà il problema di tenere insieme Sinistra e Libertà e le piccole formazioni cattolico-popolari e liberali. Spesso si tratta di schegge prive di rilievo elettorale condannate ad accordarsi con gruppi più grandi. Nel versante moderato e conservatore possono risultare determinanti per superare la soglia del 37 per cento necessaria alla conquista del premio di governabilità, ma il loro avvicinamento ha provocato i distinguo e le perplessità di Lega Nord e Fratelli d’Italia, che vogliono mantenere il loro potere di coalizione.
Il testo di riforma elettorale in discussione favorisce il costituirsi di un grande polo conservatore, popolare, nazionale e comunitario?
Rispetto al 1992, quando proposi l’idea di un’Alleanza nazionale, le condizioni storiche sono molto diverse. Allora il progetto presentava grandi prospettive e realizzò risultati notevoli, anche se fin dall’inizio la preminenza di Forza Italia nel centro-destra risultò visibile. Vent’anni dopo la situazione politica del Cavaliere è mutata, una larga parte di quel ceto politico è evaporato o fuori del Parlamento, AN si è dissolta e la leadership di FI resta ancorata a una dimensione personale. E poi è necessario valutare i passaggi della riforma elettorale nelle Camere. Nulla è scontato, e vi saranno momenti difficili prima di fissare definitivamente la cornice normativa, a partire da preferenze e soglie di ingresso.
Ma su quali basi programmatiche in campo economico ed europeo si può costruire il centro-destra del futuro?
Sarebbe auspicabile uno schieramento con valori e programmi condivisi per evitare un agglomerato multiforme privo di omogeneità politica. Per ora tuttavia ravviso la tendenza ad allearsi per conservare una rappresentatività parlamentare e posizioni di governo. Grazie a un Cavaliere pronto ad accogliere i rientranti per ragioni aritmetiche di voti e seggi. Qui voglio comunque precisare che il profilo unitario dello Stato nazionale non può essere messo in discussione da nessuno. La tentazione secessionista presente nella Lega Nord è un punto di fragilità politica, ed è per tale ragione che abbandonai AN. La riluttanza al bicameralismo poi mi provoca dubbi e perplessità, poiché la fonte dell’incapacità decisionale del sistema di governo risiede sopratutto nella frantumazione partitica.
Il profilo “popolare ed europeista” prospettato da Casini per l’aggregazione moderata non appare in sintonia con la campagna anti-austerità e anti-Merkel ingaggiata da Forza Italia.
Sono due livelli di analisi molti diversi. La prospettiva indicata dal leader dell’UDC riflette un ancoraggio all’area del PPE nell’Assemblea di Strasburgo. Il ruolo della Germania nel quadro dell’Ue può essere valutato con spirito critico. Europeisti e anti-europeisti peraltro sono presenti anche nel campo progressista. Le strategie politico-economiche comunitarie devono essere discusse, poiché un’Italia fragile finirà per essere subordinata in Europa. E non ho l’impressione che si vada nella direzione di un Paese robusto e forte sul piano economico e politico, protagonista nell’Ue. Chiunque vinca le prossime elezioni.
Considera tramontata l’ipotesi di una riforma semi-presidenziale e maggioritaria di stampo francese?
Sono sempre stato e resto ostile all’investitura popolare del Capo dello Stato, soprattutto in una fase di così grave sbandamento dell’opinione pubblica. Ho invece caldeggiato l’elezione diretta del primo ministro accompagnata dal collegio uninominale maggioritario a doppio turno. Ma oggi non vi sono più le condizioni storico-politiche per tutto ciò. Il quadro dei partiti è fortemente compromesso, e poiché i meccanismi elettorali devono sempre interagire con gli assetti partitici, non vedo garanzie per una plausibile rappresentatività e per una incisiva governabilità.