La revoca della fiducia del Partito democratico di Matteo Renzi nei confronti del governo guidato da Enrico Letta ha posto fine a un’estenuante stagione di rivalità latenti, duelli velenosi, voltafaccia, manfrine frutto di ipocrisie. Ma non scioglie gli interrogativi sulle ragioni profonde di un gesto ricco di ambiguità e fonte di incognite. È logico chiedersi chi vince e chi perde con l’ascesa dell’ormai ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi. E domandarsi come esce il PD da una vicenda per molti versi surreale. Perché nell’arco di un anno abbiamo visto all’opera una dirigenza passata dalla ricerca da parte di Pier Luigi Bersani di un accordo con il Movimento Cinque Stelle alla ricetta istituzionale delle larghe intese, fino al profilo arrembante incarnato dall’ex fautore della Rottamazione tra repentini cambiamenti di linea.
Formiche.net ha voluto coinvolgere nella riflessione Emanuele Macaluso, spirito critico della sinistra fin dai tempi delle lotte per la terra ai contadini nella Sicilia del dopoguerra, figura di spicco nella storia del Partito comunista italiano e della corrente favorevole a un robusto ancoraggio al socialismo europeo. Le argomentazioni dell’ex direttore dell’Unità e del Riformista, che soltanto 10 giorni fa aveva escluso una premiership di Renzi priva di un passaggio elettorale, mettono in luce una singolare consonanza con l’analisi del nostro giornale.
Lei ha compreso i motivi che hanno spinto il leader del PD a congedare il governo Letta e a costruire un nuovo esecutivo senza tornare alle urne?
Le ragioni sono tre. La prima risiede nel mantenimento da parte di Renzi del ruolo di leader del Nazareno e di Presidente del Consiglio. Grazie al quale egli potrà scegliere quando interrompere la legislatura e promuovere nuove elezioni. Perché Giorgio Napolitano, nell’eventualità di una crisi di governo, dovrebbe interpellarlo come leader del principale partito. La seconda motivazione attiene alle grandi difficoltà in cui era immerso l’esecutivo delle ex larghe intese. Il segretario democratico nutriva il timore di un logoramento inesorabile del PD e della propria leadership, giunta all’apice dei consensi popolari.
La terza ragione?
Nelle prossime settimane bisognerà procedere a circa 50 nomine dei vertici di grandi aziende pubbliche, tra cui Eni, Enel, Poste e altre realtà industriali strategiche. È partita una corsa che Renzi non poteva lasciare nelle mani di Letta. Nell’ambizione sfrenata a governare rivendicata dal numero uno del Nazareno rientra la voglia di protagonismo nell’imminente stagione di designazione dei “manager di Stato”. Perché il sindaco di Firenze vuole governare anche organizzando il potere diffuso nei gangli economici del nostro paese.
Assistiamo a un’operazione di Palazzo in contraddizione con lo spirito delle primarie o a una rottura innovatrice?
Penso che si tratti di una lotta politica e di potere nel Partito democratico. Scontro che coinvolge gli sponsor di Renzi esterni al Nazareno: imprenditori e rappresentanti della finanza. Una corte già plasmata e ben inserita nel potere economico. Il Palazzo reale, ricordo, non è Montecitorio. I “Palazzi” dell’establishment sono altrove.
È stata brutale e sommaria la liquidazione dell’esperienza Letta?
Renzi per sua natura e ammissione è divorato dall’ambizione. Ma è soprattutto il PD che ha offerto una prova preoccupante. Apparendo come una forza che non ha, sul piano politico e dei rapporti personali, un minimo di spessore. Viviamo forse il momento più basso nella crisi politica e di rappresentanza.
Quale orizzonte temporale avrà il governo Renzi?
L’aspirante premier non vanta nessuna esperienza europea, e non ha mai pronunciato parole chiare sulla politica internazionale. E senza prospettiva comunitaria l’Italia non ha prospettive. Perciò non credo che il suo esecutivo arriverà al 2018. Si interromperà nella fase più promettente per un ritorno vittorioso alle urne.
Una scelta così controversa farà risorgere Silvio Berlusconi e Forza Italia?
No. Il Cavaliere è finito politicamente. Gli stessi poteri economici hanno capito che la sua parabola è tramontata. Altra cosa è verificare se la destra riesce a organizzarsi autonomamente. Se le forze conservatrici e moderate puntano nuovamente su Berlusconi non hanno speranze.
Ritiene che l’ex sindaco di Firenze voglia “rottamare” anche il Capo dello Stato dopo Enrico Letta?
Il Presidente della Repubblica sta compiendo il proprio dovere guardando alle prerogative sancite nella Costituzione. Nel momento in cui un capo del governo si dimette per volontà del partito di maggioranza e con l’approvazione delle formazioni alleate, la parola passa al PD. Sul piano costituzionale non vi è nulla da eccepire. Napolitano ha governato una fase che oggi ha assunto una nuova connotazione politica grazie all’iniziativa intrapresa da Renzi. Lui stesso ha più volte spiegato che è tornato al Quirinale per accompagnare e garantire il percorso di riforme a partire dalla legge elettorale. Dopodiché rassegnerà le dimissioni.
E se i partiti non porteranno a termine quel processo?
Andrà via lo stesso.