La carriera negli scout non basta, a Matteo Renzi, per ottenere quel credito dalle gerarchie cattoliche che era invece grande e palese nei confronti di Enrico Letta. La scalata del sindaco di Firenze alla poltrona numero uno di Palazzo Chigi ha infatti raccolto commenti molto prudenti nel circuito mediatico cattolico.
LE PERPLESSITA’ DI AVVENIRE
Domenica era stato Avvenire, con il direttore Marco Tarquinio, a intervenire sul tema: “Renzi deve essere consapevole di quanto la sua scelta di rottura del quadro politico di emergenza generato dal voto politico generale di un anno fa, e del nuovo equilibrio di governo che a fine 2013 era stato saggiamente creato attorno a Enrico Letta, sia sentito come una prosecuzione con altri mezzi della politica di palazzo, un paradosso stridente: una discontinuità inseguita e ottenuta a ogni costo che viene percepita da tanti come una brutta e ingenerosa continuità con deludenti riti e miti politici del passato”.
LA PRIORITA’ E’ IL PROGRAMMA, DICE GALANTINO
Siccome però la freddezza deve lasciare spazio alla diplomazia e alla rituale cordialità tra vicini di casa, durante il ricevimento per l’anniversario dei Patti Lateranensi che ha avuto luogo ieri a Roma, il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha detto che “per ogni rinnovamento abbiamo il diritto di avere delle attese”. Ed è sul programma che si giocherà molto del rapporto tra gerarchie e futuro governo: “Per quanto ci riguarda le attese forti sono per la famiglia e per il lavoro”. Non solo, perché Galantino ha aggiunto che “il governo dovrà anche operare per un riequilibrio delle realtà che costituiscono la società, evitando ideologismi, a partire dalla famiglia”. Insomma, i vescovi chiedono a Renzi quella “partenza davvero bruciante che spazzi via le scorie accumulate e che faccia capire che l’ordine delle priorità per l’Italia e gli italiani non si può capovolgere”, come chiedeva sempre su Avvenire il direttore Mario Tarquinio.
IL COMMENTO PRAGMATICO DI PAROLIN
Pragmatico il commento del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, che sabato prossimo riceverà la berretta cardinalizia: “Il nostro auspicio è che il futuro governo possa realizzare il programma, che mi pare un programma molto impegnativo Il tessuto Italia tiene. Ci sono molte famiglie, persone, giovani, anziani che danno un contributo fondamentale allo sviluppo della vita del Paese”, riporta Repubblica.
LO SCONTRO CON BETORI E IL VIA LIBERA DI BASSETTI
Gli screzi più aspri con le gerarchie Matteo Renzi li ha avuti con l’arcivescovo della sua città, mons. Giuseppe Betori. Il 24 giugno scorso, durante l’omelia di San Giovanni, Betori aveva denunciato “un’improvvida voglia di trasgressione” che “passa dalle piazze ai luoghi della cultura, anche qui senza che si notino apprezzabili reazioni, pur con qualche lodevole eccezione”. Non solo, perché il presule aveva ricordato come Firenze fosse “al quarto posto in Italia per presenza di senza dimora” e nella città si nota “una allarmante crescita del bisogno alimentare” accompagnata “dalla notizia del primato di questa città nel consumo di cocaina” e degli “avvertimenti circa la diffusione anche tra noi della piaga del gioco d’azzardo”. Pronta fu allora la risposta del sindaco: “Firenze è diversa da come è stata rappresentata in questi giorni. Si sono dette parole molto dure, nell’omelia”. Giudizio duro, quello di Betori, probabilmente non condiviso da un altro fiorentino, l’imminente cardinale Gualtiero Bassetti. Molto vicino a Francesco e possibile prossimo presidente della Conferenza episcopale italiana, l’arcivescovo di Perugia è stato uno tra i più attivi nell’aprire con favore a Renzi. Come nota non a caso Repubblica, si tratta di “un giudizio di peso”.
ADDIO ALLE MINORANZE DI BLOCCO IN POLITICA
Più in generale, notava Il Foglio in un editoriale pubblicato martedì scorso, l’atteggiamento delle gerarchie non è semplicemente “prudenza dovuta di fronte a un esperimento dai tratti ancora incerti”. Si tratta di ben altro, il vero “peccato originale della recente impostazione politica della gerarchia: aver abbandonato la consapevolezza, tanto viva nella concezione di Camillo Ruini, dell’irreversibilità del tendenziale bipolarismo”. L’ex presidente della Cei aveva infatti capito che “minoranze di blocco cattoliche all’interno delle maggiori formazioni rendevano difficile lo scivolamento su posizioni laicistiche”. Ora, invece, l’aver sostituito a questa situazione una caratterizzata dalla secessione di nuclei cattolici dai maggiori partiti per dar vita a varie esperienze tendenzialmente neocentriste, tutte finite rapidamente nel buco nero dell’irrilevanza sostanziale, si è dimostrata una scelta miope”