Kiev brucia. In questo momento sono oltre 25 i morti e 200 i feriti degli ultimi scontri. Mentre l’Ucraina sta lentamente scivolando in una vera e propria guerra civile, le tensioni crescenti tra il presidente vicino alla Russia, Viktor Yanukovich, e gli oppositori filo-europei (o comunque contrari al governo), ormai sfociate in violenza, allarmano i capi di Stato e di governo di tutto il mondo.
Timida per il momento la reazione dell’Unione europea, che sembra intenzionata a sanzionare i responsabili se il bagno di sangue per le strade e in piazza Maidan non cesserà. E Catherine Ashton, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza di Bruxelles, ha convocato per giovedì una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri.
Una situazione intricata, legata a intrecci politici ed economici, che Luigi De Biase, giornalista del Tg5, collaboratore del Foglio ed esperto di politica estera e in particolare dell’Europa dell’Est, delinea in una conversazione con Formiche.net.
De Biase, quali sono i fronti contrapposti in Ucraina e quali i relativi obiettivi?
A livello parlamentare si affrontano due grossi blocchi, uno è il partito delle Regioni, quello al quale appartiene Yanukovich, che è un partito populista e ha una base molto forte nella parte est del Paese, quella più ricca dal punto di vista economico. L’altro blocco, ovvero l’opposizione, è formato da diversi partiti d’ispirazione più liberale. Fra questi c’è Udar (significa più o meno “colpo”), guidato dall’ex pugile Vitaly Klitschko, che sta diventando uno dei simboli di questa fase politica. Poi c’è lo scontro nella piazza, e in piazza prevale la contrapposizione tra forze dell’ordine e movimenti nazionalisti – Klitschko e gli altri leader dell’opposizione, come Arseny Yatseniyuk, hanno subito critiche e attacchi molto pesanti nelle piazze. A questo punto l’obiettivo principale è ottenere le dimissioni di Yanukovich.
La protesta esprime davvero la voglia di aderire all’Unione europea o c’è qualcos’altro? Carlo Jean su Formiche.net ha illustrato l’eterogeneità degli oppositori composti anche da ultranazionalisti oltre che da europeisti…
A questo punto il vero obiettivo della rivolta è Yanukovich. Naturalmente in piazza ci sono anche quelli che vorrebbero aderire all’Unione europea, ma mi pare che la maggior parte tenga prima di ogni altra cosa all’indipendenza dell’Ucraina. Non bisogna dimenticare che il fuoco delle proteste che si sono succedono in Ucraina negli ultimi anni non ha come caratteristica principale l’europeismo, ma lo spirito della nazione.
E condivide l’analisi geopolitica di Jean sulle potenze che appoggiano o non appoggiano la protesta?
Genericamente si identifica Yanukovich come l’alleato di Putin. Questo messaggio è abbastanza impreciso. L’Ucraina è il solo Paese post sovietico in Europa che non ha superato alcuno “shock” economico. Si è passati dal controllo pubblico della produzione a un sistema ibrido in cui gli oligarchi hanno sostanzialmente rilevato le funzioni dello Stato. Tutti i politici che si sono succeduti al governo hanno preferito l’appoggio economico della Russia al percorso di riforme richiesto dall’Ue. Ricordate la grande rivale di Yanukovich, Yulia Timoshenko? Nel 2004 ha guidato la rivolta arancione contro l’influenza russa sul Paese, cinque anni più tardi ha firmato un accordo miliardario sulle forniture di gas con Putin. Yanukovich ha costruito contatti molti forti con l’Occidente per essere definito un “burattino di Putin”. Per dirne una, il suo governo ha firmato un contratto di consulenza da 200mila dollari con la società di John Podesta, uno dei collaboratori più vicini a Barack Obama. E il suo partito, il Partito delle Regioni, ha stretto nel 2010 un’intesa con l’ex leader del blocco socialista al Parlamento europeo, Martin Shulz, lo stesso Schulz che una volta cercò di spiegare con il dito alzato che cos’è la democrazia a un premier italiano.
Perché gli Usa si sono lamentati dell’atteggiamento europeo sulla vicenda?
Gli Stati Uniti seguono una politica di disimpegno rispetto a molti dossier che riguardano l’Europa e il Medio Oriente. Evidentemente si aspettano un intervento più forte dell’Ue per risolvere la crisi. E’ un approccio molto diverso rispetto a quello che abbiamo visto nel doppio mandato di George W. Bush alla Casa Bianca. E anche negli Stati Uniti non mancano le critiche nei confronti di Obama: per molti, gli Stati Uniti stanno abbandonando la loro missione storica, non sono più “l’ultima risorsa” del mondo libero, la forza pronta a intervenire quando gli altri non possono o non vogliono farlo.
Quali saranno le prossime mosse della Russia?
La Russia ha una posizione molto rigida, il ministero degli Esteri ha definito le proteste di Kiev un “golpe” e nei giorni scorsi ha fatto capire di considerare i manifestanti al pari dei terroristi. Bisogna dire che la Russia ha più opzioni sul tavolo, a partire dall’uso della forza militare, un’alternativa alla quale ha fatto ricorso nel 2008 in Georgia.
La situazione può degenerare ancora di più o Yanukovich riuscirà a ristabilire il controllo?
Yanukovich ha perso quasi completamente il controllo della situazione. Non ha proclamato lo stato d’emergenza, ma nei fatti il Paese è in guerra. La richiesta di intervento alle truppe dell’esercito mostra che il ventaglio di possibilità nelle sue mani sta rapidamente calando.
In caso l’Europa o la comunità internazionale fossero costrette a intervenire, quali sarebbero le ripercussioni, anche energetiche, per l’Italia?
L’Europa interverrà con una serie di sanzioni individuali, rivolte a Yanukovich e agli uomini che controllano la repressione. Prevedo poche ripercussioni sui Paesi europei, che comunque farebbero bene a perseguire progetti di diversificazione energetica, aprendo piste più rapide e più sicure per importare energia, come l’Italia sta facendo attraverso il gasdotto South Stream.