Nella seconda giornata del Congresso nazionale l’Unione di centro è chiamata a compiere le scelte cruciali sul proprio futuro. Le sfide che lo attendono e la proposta di aggregazione delle forze popolari in vista delle elezioni europee e amministrative hanno alimentato un confronto autentico, vivo, anche aspro.
(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI CHE SI AGGIRAVA AL CONGRESSO UDC)
Se è unanime la convergenza sulla costruzione della proiezione italiana del Partito popolare europeo ed è entusiasta il giudizio sul coinvolgimento di Gianluca Galletti nel governo formato da Matteo Renzi, emergono forti contrapposizioni sulla classe dirigente interna e sul rinnovato rapporto con il centro-destra preannunciato da Pier Ferdinando Casini.
LA TRINCEA DEI VALORI
È Paola Binetti a porre i paletti contro gli avversari storici dell’UDC. Ricollegando il congresso all’opera di rigenerazione e riforma della Chiesa promossa da Papa Francesco nel segno dell’universalità cristiana, e all’azione innovatrice realizzata con la formazione del nuovo governo, la parlamentare teo-dem punta il dito contro “il bullismo grillino, i populismi berlusconiani, i nuovismi imperanti di ogni colore”. Mentre Carlo Casini, storico presidente del Movimento per la Vita, richiama “l’esigenza di verità nel rispetto dei diritti dell’uomo e dell’eguale dignità di ogni persona in ogni condizione e fase dell’esistenza. A partire dal concepimento naturale”.
L’OPZIONE BIPOLARE PER IL PPE
Tenace assertore della ricostruzione di un rapporto con il centro-destra e con Forza Italia in un’ottica bipolare è Francesco D’Onofrio. Guardare a un PPE volto a coniugare l’economia sociale di mercato con la sostenibilità ecologica, spiega il costituzionalista ed ex ministro nel primo governo Berlusconi, è l’orizzonte in cui si collocò il Centro cristiano democratico fin dal gennaio 1994 e l’UDC nel 2002: “Un mondo che non può ripiegarsi nella salvaguardia dell’identità ma proiettare la cultura democratico-cristiana nell’azione di governo”.
IL RIFIUTO DEMITIANO DEL BIPOLARISMO
Radicalmente ostile a tale prospettiva è il ragionamento di Ciriaco De Mita, che riscuote un’approvazione calorosa nella platea. Rivendicando la propria natura e storia di democristiano e la novità del popolarismo di Luigi Sturzo nato per radicare l’esperienza della fede cristiana nell’avventura della libertà, il politico irpino esorta l’UDC a tornare allo spirito del 2008, al rifiuto del bipolarismo: “Perché è velleitaria, osserva, la pretesa di un piccolo partito di trasmettere le proprie idee alle forze più grandi, artefici di una dinamica politica che ha fallito e non ha messo radici nella società”.
(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI CHE SI AGGIRAVA AL CONGRESSO UDC)
Nel momento in cui Forza Italia si è spaccata attorno alle vicende giudiziarie del Cavaliere, rileva l’ex leader della Democrazia cristiana, è un grave errore rivitalizzare per miope opportunismo un centro-destra che rappresenta un concetto estraneo alla nostra storia. Realtà “favorita da una riforma elettorale maggioritaria che assomiglia a un contratto incostituzionale stipulato sulle convenienze di Berlusconi e Renzi, grazie a soglie di sbarramento ritagliate su misura contro le forze minori”. Legge inaccettabile dunque, così come il superamento del bicameralismo per ridurre i costi, “poiché la doppia lettura valorizza il ruolo e la dignità del parlamentare, l’analisi e la risoluzione accurata dei problemi”.
LE RAGIONI DEL LEADER
Accolto da applausi mescolati a fischi, Pier Ferdinando Casini risponde con orgoglio alle obiezioni. Ricorda come l’UDC sia nato nel centro-destra agendo sempre con la dignità dei propri valori e mai riducendosi a portatore d’acqua per Berlusconi. Rivendica la scelta di separare le strade dal Cavaliere quando tentò uno sbocco bipartitico e il rifiuto alle richieste di ingresso nella sua maggioranza sfaldata. Ammette l’errore compiuto con le alleanze a geometria variabile nelle elezioni regionali del 2010 e con l’appiattimento sull’esperienza del governo Monti. Ribadisce che nel 2013 erano impensabili l’alleanza con l’asse PD-SEL, “perché non potevamo trasformarci nella Margherita con dieci anni di ritardo”, e l’incontro con un centro-destra privo di patriottismo nazionale e prigioniero delle corporazioni.
Oggi però vi è un fatto nuovo. Una riforma elettorale che con realismo impone di giocare sul terreno bipolare, nonostante le persistenti divisioni rispetto a Forza Italia. Ma il campo da arare, vasto e dai confini nebulosi, è lo stesso. Per l’ex presidente della Camera, l’UDC non può attestarsi sulla battaglia perdente dei piccoli partiti contro le soglie di accesso fissate da Renzi e Berlusconi. “Ma è possibile – tuona rivolgendosi all’assemblea – che restiamo prigionieri della paura del Cavaliere e scegliamo un campo diverso, quando il PD sta superando una sindrome che lo ha paralizzato per anni?”
L’ORA DELLA VERITA’
È in un clima di crescente divisione che giunge la fase della presentazione delle candidature e delle mozioni per la guida dell’UDC. La prima ha il volto e la firma di Gianpiero D’Alia, ministro nel governo Letta e leader del partito in Sicilia. La sua linea politica è chiara. Rispetto a Renzi che colloca il PD nel Partito socialista europeo, i centristi di ispirazione cattolica devono costruire in Italia la sezione del PPE con il Nuovo Centro-destra e i Popolari per l’Italia tentando di intercettare i voti democratici-cristiani e moderati confluiti in Forza Italia. Non per legarsi a Berlusconi, ma per conquistare anche il suo consenso con una proposta nuova.
Proposta che passa per “il rinnovamento radicale della classe dirigente a fianco di giovani e amministratori locali contro le velleità trasformiste di pezzi di apparato che lo porterebbero alla liquidazione”. L’ex responsabile della Pubblica amministrazione nell’esecutivo Letta punta a rappresentare la maggioranza silenziosa del ceto medio tradito e abbandonato dai grandi partiti. La strada da intraprendere però non passa per elezioni primarie nel centro-destra ma per la costruzione sul territorio di alleanze omogenee con le forze affini all’UDC.
IL COLPO DI SCENA
L’alternativa alla sua candidatura avrebbe dovuto essere offerta da Antonio De Poli, leader dell’UDC in Veneto. Che sogna un partito capace di ascoltare e intercettare un mondo estraneo al Palazzo, in grado di spingere il governo a mutare le strategie economiche europee. Tuttavia il cantiere popolare promosso a novembre sembra messo a repentaglio per la scelta terzo-polista compiuta dalla formazione di Mauro.
Per questo motivo De Poli rinuncia a correre per la segreteria riproponendo alla guida del partito Lorenzo Cesa. Il quale accetta “per un arco di tempo limitato, utile a ricucire la spaccatura con i compagni di strada e ad accelerare il percorso verso la federazione comune in vista del voto europeo. Scelta condivisa dal presidente del partito Rocco Buttiglione, il quale chiede invano a D’Alia di ritirare la propria candidatura favorendo la creazione di un gruppo di lavoro di 3-5 persone che affianchi la nuova segreteria di Cesa. Terminato il dibattito congressuale, avrà inizio il voto sulle due candidature e mozioni. Il risultato, più che mai incerto, è atteso in serata.
(TUTTE LE FOTO DI UMBERTO PIZZI CHE SI AGGIRAVA AL CONGRESSO UDC)