I disordini che sconvolgono l’Ucraina e che hanno portato a un avvicendamento alla presidenza del Paese sono sì – secondo la stampa internazionale – il frutto di un malessere interno, ma ancora di più il riflesso di un braccio di ferro politico che contrappone Washington e Mosca. Con l’Europa, per l’ennesima volta, incapace di dare risposte.
NELL’ORBITA DI MOSCA
Quali sono i nodi del contendere? Innanzitutto una questione geopolitica. In quella che alcuni, tra cui Reuters, hanno definito “una nuova Guerra fredda” – e che invece la Cnn e lo stesso Barack Obama definiscono una semplice “partita a scacchi” – le recenti irritazioni del Cremlino nascono dal sospetto, rilanciato da molti analisti, che dietro i sommovimenti di piazza ci sia anche il tentativo americano di togliere l’Ucraina dai suoi Stati satellite e isolarla ulteriormente dal contesto europeo. Perciò, per trattenere Kiev nella sua orbita, Vladimir Putin ha messo sul piatto della bilancia alcune offerte che Viktor Yanukovich poteva difficilmente rifiutare, riguardanti sia aiuti economici sia la vendita di gas a prezzi calmierati.
LO SCUDO CHE HA IRRITATO IL CREMLINO
Ma la sindrome dell’accerchiamento di cui soffre Mosca parte da lontano. Il Cremlino, che mette tra i suoi primi obiettivi le esigenze di sicurezza del Paese, ha vissuto come un affronto il progetto d’installazione di uno scudo antimissile Nato nell’Europa Orientale per contrastare – prima che i negoziati con Teheran assumessero contorni concreti – l’arsenale atomico dell’Iran.
IL NODO DELLA CRIMEA
C’è poi il nodo della Crimea, e in particolare del porto di Sebastopoli, “una regione strategicamente e commercialmente importante per il suo sbocco sul Mar Nero a cui Mosca è economicamente e storicamente legata“, come spiega al britannico Telegraph Lilit Gevorgyan, un’analista russa di IHS Jane. Dati sostenuti dal favore popolare. Secondo un recente sondaggio, il 56 per cento dei russi considera la zona come un territorio proprio. Questo, secondo il sito di intelligence militare Debka File rende a sufficienza l’idea del perché Putin abbia deciso con tanta decisione di ritirare il proprio ambasciatore da Kiev e sarebbe pronta a schierare le truppe utilizzate a Sochi in Crimea.
LA QUESTIONE ENERGETICA
A recitare un ruolo importante nella confusione ucraina c’è poi il problema dell’approvvigionamento energetico. Ed è qui che entra in ballo l’Europa. Kiev è da questo punto di vista strategicamente rilevante: in Ucraina passa il gasdotto più importante di tutto il Continente. Un metanodotto che in alcuni casi rifornisce al cento per cento alcune nazioni europee (l’80% del metano adoperato in Italia transita attraverso il Paese). Per questo motivo l’Europa ha provato in ordine sparso, soprattutto grazie al protagonismo tedesco e agli ammonimenti di Bruxelles, ad inserirsi nella discussione, facendo indirettamente asse con gli Stati Uniti, intenzionati a sottrarre a Mosca uno degli elementi di maggior influenza sul Vecchio Continente. Ma per farlo, c’è bisogno che l’Unione sostenga economicamente Kiev, così come era pronta a fare la Russia, che ha ora congelato gli aiuti promessi a Yanukovich. Sarebbero in arrivo aiuti congiunti dell’Ue e del Fondo Monetario internazionale, probabilmente 15 miliardi di dollari. Ma – come spiega l’agenzia russa Ria Novosti – potrebbero non essere sufficienti. L’Ucraina l’ha detto chiaramente: ha bisogno di (almeno) 25 miliardi di euro per evitare la bancarotta. Soldi che l’Europa non sembra in grado di garantire, non subito almeno, proprio a causa di divergenze interne. E se per alcuni, come Bloomberg, il Vecchio Continente non subirà ripercussioni, per altri questi tentennamenti potrebbero costare cari proprio dal punto di vista energetico. Un prezzo troppo alto da pagare, forse, per una partita a scacchi in cui a muovere le pedine è Washington.