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Tutti i meriti e i rischi del “grillino” Renzi. Parla Giovanni Pellegrino

Un governo del premier e non più del Presidente, che cerca di compensare la mancanza di legittimazione elettorale con uno spirito ottimista elevato a categoria politica. Ma che presenta grande nebulosità nelle indicazioni dei mezzi e delle risorse finanziarie per realizzare le strategie economico-fiscali. Così si presenta l’esecutivo guidato da Matteo Renzi alla luce dell’intervento programmatico tenuto a Palazzo Madama dal leader del Partito democratico.

Per capirne meglio prospettive e limiti, Formiche.net ha interpellato Giovanni Pellegrino, giurista e avvocato con spiccata sensibilità garantista, già parlamentare dei Democratici di sinistra e presidente della Commissione stragi dal 1996 al 2001. Alla guida dell’organismo parlamentare di inchiesta, Pellegrino ha potuto analizzare in profondità le pagine più tragiche e oscure della storia repubblicana, illuminandone i legami con le dinamiche politico-istituzionali della Guerra fredda.

Perché tanta evanescenza sulle coperture economiche nel programma del Presidente del Consiglio?

È una vaghezza voluta sul piano politico. Renzi ha parlato poco al Senato e molto al Paese, pensando a un giovane ventenne o trentenne che si fosse sintonizzato per caso nella diretta da Palazzo Madama. Il premier, fedele al proprio profilo, ha utilizzato un linguaggio finalizzato ad attrarre l’attenzione di quel pubblico. Il che implica interrogativi sulla realizzabilità degli obiettivi indicati.

Nella squadra scelta dal leader del Pd intravede la vittoria del “Manuale Cencelli?

Fino a un certo punto. Mi sembra più l’affermazione del disegno del “sindaco d’Italia”, che pur non eletto dai cittadini è legittimato dal voto plebiscitario delle primarie. E per questo motivo ha voluto persone che non lo mettessero in ombra. Renzi agirà in prima persona nell’agenda di governo, a cominciare dalla politica estera a dai rapporti con l’Europa. È una scommessa prima di tutto su se stesso.

Reputa positiva per la riforma del pianeta giustizia la nomina di Andrea Orlando a Guardasigilli?

Avevo molto apprezzato Orlando quando era responsabile giustizia del Pd, perché da lui ho ascoltato un linguaggio nuovo e non appiattito sulle tesi della magistratura associata e di Magistratura democratica. Vengo dall’esperienza dei Democratici di sinistra e, salvo voci di dissenso, la linea prevalente è sempre stata l’allineamento sulle posizioni dell’ANM.

Alla guida del Tesoro avrebbe preferito un politico?

Sì. La nomina di Pier Carlo Padoan è il punto su cui Giorgio Napolitano ha tenuto duro rispetto alle istanze del premier. Ma della statura del nuovo responsabile dell’economia Renzi ha bisogno per accrescere la credibilità dell’esecutivo nei rapporti internazionali e con l’Europa. La questione centrale è incidere sull’austerità egemone nell’Ue che oggi mostra la corda. Il premier ha un’alta opinione di sé. Spero riesca in un’impresa ardua.

Renzi ridisegnerà i vertici delle industrie strategiche di Stato?

Avverto un’esigenza diffusa di cambiamento dei manager delle aziende pubbliche, visto che alcuni ricoprono il ruolo da vent’anni, anche grazie al loro valore. Auspico tuttavia che i nuovi dirigenti siano all’altezza delle persone che verranno sostituite. Mi riferisco soprattutto all’Eni, componente notevole e nevralgica nel peso geopolitico dell’Italia.

Silvio Berlusconi e Forza Italia possono trarre beneficio dall’esecutivo Renzi?

È una critica che viene avanzata a Renzi dall’interno del Nazareno. Il grande vantaggio offerto al Cavaliere è nella scelta del meccanismo elettorale, che per i sondaggi premia il centro-destra. Una scelta che rivela l’appartenenza del premier alla storia progressista. Fa parte della cultura di sinistra accettare un rapporto strumentale con l’avversario sperando di capovolgerlo. Parlo della “sindrome del treno per Mosca”.

Di cosa si tratta?

Nel 1917 Lenin tornò in Russia dall’esilio imposto dal regime zarista grazie a un rocambolesco viaggio in treno pagato dalla Germania imperiale. Scelta compiuta per provocare la sconfitta militare di Mosca ma che si rivelò fondamentale per il successo della rivoluzione bolscevica. Allo stesso modo Renzi è convinto che l’iniziativa assunta con Berlusconi sulle riforme istituzionali porterà risultati vincenti per il Pd. Vi è però un precedente poco incoraggiante.

Quale?

Il governo guidato nel 1999 da Massimo D’Alema. Il quale si lasciò strumentalizzare da Francesco Cossiga in vista dell’adesione dell’Italia all’intervento Nato in Kosovo. Ma non raggiunse l’obiettivo di legittimare la propria leadership e nel giro di pochi mesi dovette dimettersi da Palazzo Chigi.

Il governo Renzi rappresenta l’ostacolo più insidioso per il Movimento Cinque Stelle e Beppe Grillo?

L’intervento del segretario del Pd in Senato era fortemente rivolto all’elettorato del M5S, allo scopo di drenare consensi a proprio favore. Il premier ha parlato direttamente a cittadini affascinati da un personaggio orribile, con cui io non si riesce a dialogare. E per tale ragione ha giocato la carta del linguaggio e della gestualità, incluse le mani in tasca: ha voluto lanciare un ponte verso quel mondo.

Il Pd che dà il via libera al governo Renzi è una forza destabilizzata e destabilizzante?

Con il voto della Direzione che ha liquidato all’unanimità l’esperienza dell’esecutivo Letta, il nuovo capo del governo è riuscito a imporre la sua strategia al Partito democratico plasmandolo sui propri obiettivi. Il vero problema per lui è nei gruppi parlamentari, in gran parte nominati da Pier Luigi Bersani. Un gruppo di persone che non hanno digerito la sconfitta delle primarie e tentano una rivincita alimentati da risentimenti contro l’attuale leadership. In tal modo antepongono l’auto-conservazione all’interesse del partito. È una vecchia storia, piena di pagine non gloriose. Ricordo quando nel 1998 l’allora segretario dei Ds Walter Veltroni parlò di “governo amico” rispetto all’esecutivo D’Alema, guidato per la prima volta da un post-comunista. A riprova di un’attitudine che mette a repentaglio la giustificazione stessa di partito. E che rischia di prendere il sopravvento se nei prossimi messi Renzi non realizzerà almeno in parte le sue promesse.


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