La Russia non è fuori gioco nella difesa dei suoi interessi in Ucraina. Ha buone carte in mano e le gioca con abilità e spregiudicatezza, unite a una ragionevole cautela e pragmatismo. Sa che l’Occidente è diviso e impotente. Gli Usa e il Regno Unito si erano impegnati a farlo a garantire la sicurezza e unità dell’Ucraina con il Memorandum di Budapest del gennaio 1994, ufficializzato poi all’OSCE di Vienna . Esso prevedeva la consegna alla Russia da parte dell’Ucraina delle armi nucleari, esistenti sul suo territorio. Veniva anche stabilito che la Flotta Russa del Mar Nero avrebbe continuato a essere basata a Sebastopoli. Bilateralmente fra Mosca e Kiev furono fissati dei “tetti” sul numero di militari, di navi e di aerei che Mosca avrebbe potuto schierare in Crimea. I rinforzi di 2.000 soldati russi, affluiti venerdì in Crimea per via aerea, per rafforzare le difese della Flotta, non superano tali “tetti”. Sono quindi legittimi, anche se il loro invio non è stato pre-notificato al governo di Kiev.
Per il momento almeno Mosca non sembra intenzionata a un’azione militare. Vi si è però preparata, probabilmente a scopo intimidatorio. Ha proclamato lo stato di allarme nei suoi Distretti Militari occidentale e centrale. Sta svolgere massicce esercitazioni (150.000 uomini) in prossimità dei confini ucraini. Da notare che l’allarme non è stato esteso al Distretto Militare meridionale, che fronteggia a Est la Crimea. Quindi la Russia non sembra avere l’intenzione di fare all’Ucraina lo “scherzo” fatto nel 2008 alla Georgia. Quest’ultima se lo era decisamente voluto, provocando la Russia con il suo intervento militare in Ossezia del Sud. E’ importante che il governo ucraino ad interim si astenga da atti simili. Potrebbero mettere a Putin con le spalle al muro e deciderlo ad intervenire militarmente.
Putin, almeno per il momento, sta a guardare. Ha telefonato alla Merkel, a Cameron e al presidente dell’UE, chiedendo loro di intervenire per “calmare le acque”. Sembra calmo e rilassato. Certamente ha sorriso quando Obama ha espresso la sua profonda preoccupazione per quanto sta avvenendo in Ucraina. Deve averlo fatto anche per il “fuck Europe”, che dimostra le divisioni esistenti fra gli USA e l’Europa. Ma la “carota” va sempre combinata con il “bastone”. La parte del “cattivo” è giocata dal primo ministro Medvedev. Egli ha affermato che la rivolta di Kiev è stata un ammutinamento armato contro il legittimo governo ucraino; che il governo provvisorio è fatto da banditi e da nazisti, intenzionati a effettuare un pogrom contro la popolazione russa che vive in Ucraina. Tanto per non sbagliare, ha deciso di concedere a tutti i russo-ucraini il passaporto russo. Potrà così giustificare un intervento con la “dottrina Medvedev” del diritto/dovere di Mosca di difendere le popolazioni etnicamente russe che vivono all’estero. Medvedev ha aggiunto che Yanukovic rimane il presidente legittimo dell’Ucraina. Sia Mosca che Kiev hanno respinto le ipotesi di una divisione delle province russofone del Nordest e del Sud del paese.
La cosa potrebbe avere un effetto domino. Potrebbe anche innescare una guerra civile.
Putin ha tre opzioni. La prima è quella di aspettare. Come dice il proverbio cinese “mettiti pazientemente sulla riva del un fiume: prima o poi la corrente trascinerà il cadavere del tuo nemico”. Le forze politiche che hanno preso il potere a Kiev sono divise e litigiose fra di loro. L’Ucraina è poi sull’orlo del fallimento. Mosca lo sta accelerando, con il blocco dei prestiti promessi nel dicembre scorso e dei rifornimenti di petrolio. Inoltre, sta accrescendo gli ostacoli doganali alle importazioni alimentari, che provengono soprattutto dalle regioni occidentali, quelle più nazionaliste e russofobe. Verosimilmente aspetta che il nuovo governo si distrugga con le sue mani. Esso ha affidato la sicurezza a una personalità del partito ultranazionalista Sloboda, che nelle piazze di Kiev inneggiava a Stefan Bandera, il capo nazista ucraino nel secondo conflitto mondiale. Dispone di vari strumenti per accrescere il caos, tra cui l’utilizzazione dei nuclei d’autodifesa degli ucraini filorussi, già attivi in Crimea.
La seconda opzione a disposizione di Putin è quella di apparire come un ragionevole “uomo di pace”. Nelle sue telefonate ai leaders europei ha verosimilmente chiesto di effettuare un’azione congiunta per superare la crisi. Certamente, potrebbe sembrare indeciso e ciò inciderebbe sul prestigio interno di “uomo forte”, di salvatore della Patria e di patriota capace di ridare alla Russia lo status di grande potenza mondiale. Mah! Non mi sembra che la scelta di tale opzione sia probabile, data la personalità del presidente russo e la priorità che ha per lui il mantenimento del prestigio interno da parte della patriottica opinione pubblica russa. Scegliendo le opzione soft accrescerebbe poi le tendenze indipendentistiche e filoeuropee della Moldavia e della Georgia e forse anche della Bielorussia, bombardata dalla propaganda polacca e svedese. Un’eccessiva cautela potrebbe compromettere il suo ambizioso progetto di estendere l’influenza russa alle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale e del Caucaso, riunendole nell’Unione Eurasiatica. Tale opzione presenterebbe però il vantaggio di non dover accollare alla Russia l’intero onere di dover mantenere gli ucraini. Le esperienze del costo degli imperi zarista e sovietico pesano ancora grandemente sul DNA politico russo.
La terza opzione di Putin è quella “georgiana”: intervenire militarmente e occupare l’Ucraina. Essa potrebbe essere attuata rapidamente. Ma il problema non è l’occupazione. E’ quello che succederà dopo. Putin si ricorda certamente che la resistenza armata ucraina è durata fino al 1956. Ma allora c’era Stalin e l’Armata Rossa, vincitrice della “Grande Guerra Patriottica”. La Russia è ancora forte militarmente. Lo è soprattutto in campo nucleare, missilistico, aereo e navale. L’esercito, pur migliorato negli ultimi anni, non è in grado di controllare un territorio grande e popoloso come l’Ucraina. Troppe risorse sarebbero assorbite. Esse verrebbero sottratte al tentativo di riparare almeno in parte i danni causati da quella che Putin ha definito “il più grande disastro geopolitico del XX secolo”, cioè il collasso dell’URSS. Verrebbe compromessa anche la modernizzazione dell’economia russa. Per essa Mosca necessita dell’Europa, soprattutto della Germania. Inoltre, si rafforzerebbe la NATO, oggi in stato semicomatoso. Forse, darebbe anche un impulso all’integrazione politica e strategica dell’UE, che per Putin è come il fumo negli occhi. Infatti, rafforzerebbe il potere d’attrazione che essa ha anche su parte dell’opinione pubblica russa.
La prima opzione sembra la più probabile. Si determinerebbe un confronto fra la Russia e l’Occidente, basato sul soft power. L’Europa dovrebbe mettere mano al portafoglio, per evitare che il nuovo regime ucraino venga travolto dalla bancarotta e da rivolte interne. Il costo potrebbe essere simile a quello di una seconda guerra di Crimea. A differenza di quanto fece il Regno di Sardegna 160 anni fa, l’Italia non sembra avere alcuna intenzione di parteciparvi. Ciò le consentirà di mantenere ottimi rapporti con Mosca. Si guasteranno invece quelli con la Germania e con i paesi europei centrorientali. Non è un’incoraggiante premessa per il semestre di presidenza italiana dell’UE, sul quale – a parer mio del tutto impropriamente – sono state poste tante aspettative. La questione è poi aggravata per noi dall’assenza nel governo di uno sperimentato ministro per gli affari europei e dalla conseguente impossibilità di ridurre la disastrosa frammentazione, nei rapporti con l’UE e i suoi Stati membri, delle competenze fra i vari dicasteri.