Il Partito socialista europeo lancia il guanto di sfida al PPE per la guida dell’Ue nei prossimi anni. E per un cambiamento delle politiche comunitarie in grado di neutralizzare la minaccia delle formazioni euro-scettiche e populiste. Gruppi che potrebbero conquistare fino al 30 per cento degli scranni nel voto per l’Assemblea di Strasburgo.
Le incognite sui nodi cruciali per l’Europa
Lo scenario scelto per raccontare l’idea di Europa che anima e accomuna le forze progressiste e socialdemocratiche è il Congresso del PSE in corso a Roma. Un’iniziativa che non ha sciolto gli interrogativi sulle strategie della storica famiglia politico-culturale. Perché il suo candidato alla guida della Commissione Ue, il presidente dell’Assemblea di Strasburgo Martin Schulz, non ha chiarito se e in che forma metterà in discussione l’austerità finanziaria e i rigidi vincoli del Patto di stabilità promossi dalla sua connazionale Angela Merkel. E perché timide parole sono state pronunciate in casa socialista sul nesso che lega politiche restrittive ossessionate dallo spettro dell’inflazione e dal totem del pareggio di bilancio con una stagnazione produttiva devastante sul terreno economico-sociale.
Così, all’indomani dell’ingresso del Partito democratico nel PSE che non smette di alimentare riflessioni critiche, l’orizzonte elettorale per il principale gruppo progressista europeo appare percorso da molte ombre. Tanto più inquietanti, visto che per la prima volta il Parlamento europeo, dotato dal Trattato di Lisbona di prerogative di co-decisione rispetto al Consiglio dei capi di governo e del potere di approvare o respingere il bilancio, eleggerà il presidente della Commissione, investita di un accresciuto ruolo di governo.
Un repertorio ideologico tradizionale
Accolto con misurato entusiasmo da una platea di 500 attivisti e delegati in gran parte giovani al grido “Martin President!”, Schulz preannuncia una campagna serrata costruita sul “porta a porta”. Ricorda di aver incontrato troppe persone disilluse da un’Unione Europea lontana, vissuta come mera cooperazione tra Stati. Un freno al superamento delle frontiere e alla condivisione delle opportunità, in cui gli estremisti di ogni colore si gettano per trarne profitto.
L’esponente della socialdemocrazia tedesca sogna un’Europa in cui non prevalgano gli speculatori che non pagano le tasse, nella quale le risorse pubbliche non vadano ad alimentare le banche con 700 miliardi di euro a fronte di milioni di giovani privi di lavoro. Parla di un’unione in cui le diseguaglianze vengano colmate, la ricchezza sia ridistribuita in modo equo e il Welfare sia universale. E propone l’adozione di un salario minimo per tutti, che garantisca una vita dignitosa pur adeguandosi al Prodotto interno lordo di ogni nazione.
Il confronto con i giovani socialisti
Ma è poche ore più tardi che la sua idea di “Europa socialista, verde e democratica” prende corpo. La cornice è un incontro con militanti, aderenti, volontari del PSE promosso dalla Fondazione Friedrich Ebert, lo storico pensatoio legato alla SPD tedesca e intitolato al primo presidente socialdemocratico eletto democraticamente agli albori della Repubblica di Weimar. Rispondendo alle domande di 19 giovani provenienti da 9 paesi europei, il presidente dell’Assemblea di Strasburgo elimina ogni ambiguità sull’assetto istituzionale che gli euro-socialisti hanno in mente.
La bocciatura del federalismo europeo
La sua risposta è netta: la strada per gli Stati Uniti d’Europa non è percorribile. Il progetto concepito nel Manifesto di Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, l’orizzonte prefigurato da Luigi Einaudi e da Winston Churchill, non rientra nella prospettiva socialista.
Martin Schulz spiega che il federalismo istituzionale nordamericano, consacrato nella Costituzione Usa e punto di riferimento per il Trattato di Unione Europea elaborato da Spinelli nel 1984, non può essere trapiantato nel Vecchio Continente: “Perché l’Italia non è la California e la Germania non è il Texas”. Non vi è spazio dunque per un’articolazione e una dialettica tra forti poteri nazionali e centrali. Non vi è spazio per una politica monetaria comune imperniata su un’istituzione prestatrice di ultima istanza a garanzia dei debiti sovrani come la Federal Reserve.
L’unica integrazione possibile, rimarca il rappresentante del PSE, è un’unione politica in grado di andare oltre la pura associazione di Stati sovrani per governare la collaborazione finanziaria e il mercato comunitario. Un’Ue che non entri nel dettaglio di materie riservate alle realtà territoriali ma che orienti a Bruxelles le strategie economico-sociali.
Il rilancio dell’Unione bancaria
Le priorità attengono soprattutto a una stretta creditizia che penalizza piccole e medie imprese, autentiche creatrici di lavoro e ricchezza. Un fenomeno frutto della mancanza di fiducia tra Stati, banche, imprese, cittadini. Per cui gli istituti creditizi non reinvestono nell’economia reale i capitali prestati dalla BCE a tassi molto bassi, ma li re-impiegano nei titoli del debito pubblico. Perciò, rileva Schulz, è importante l’Unione bancaria. E in vista di tale obiettivo il PSE vuole creare un fondo comune garantito dall’Ue o dai governi nazionali, a cui le banche e non i contribuenti contribuiscano per le esigenze di salvataggio nell’eventualità di shock finanziari.
Micro-credito, incentivi e investimenti per lavoro e scuola
Per promuovere la ripresa produttiva e occupazionale, la ricetta euro-socialista passa per robusti incentivi e micro-credito assicurati dalle istituzioni pubbliche a favore di startup e Pmi capaci di creare lavoro e di investire nell’Agenda digitale. A tal fine, osserva Schulz, è necessario modernizzare e riformare la realtà scolastica, per adeguarla alle esigenze produttive.
Si tratta di investimenti in progresso, emancipazione, formazione, capitale umano, futuro. Ma che per la loro entità vengono vietati dai parametri di bilancio, poiché provocherebbero un aumento del debito pubblico. È il cuore del problema. L’esigenza di separare tali investimenti dal rapporto fra deficit e PIL è avvertita dal PSE. E con l’impulso all’Unione bancaria costituisce un punto di attrito significativo con il PPE di Angela Merkel.
Silenzio sui pilastri del Fiscal Compact
Ma l’esponente della SPD non arriva a mettere in dubbio la validità del Fiscal Compact, a cambiare e allargare il ruolo della Banca centrale, a immaginare un tasso di flessibilità della valuta unica per una ragionevole svalutazione competitiva, a proporre l’introduzione degli eurobond. Progetto troppo ambizioso e poco percorribile, come l’opzione federalista, per un partito che in Germania resta alleato di governo della “Cancelliera di ferro”.