L’avvio del governo Renzi si è caratterizzato per due elementi distintivi: nebulosità nell’indicazione delle coperture finanziarie per realizzare una strategia economico-fiscale ambiziosa, e un linguaggio semplice, immediato, permeato di ottimismo nell’accezione politica nordamericana. Gestualità che a diversi osservatori è sembrata rivolta all’elettorato del Movimento Cinque Stelle. Come se lo scopo fondamentale del leader del Partito democratico fosse esercitare una formidabile attrazione verso un M5S a rischio deflagrazione e drenare adesioni a proprio favore in vista del voto per il Parlamento europeo.
È plausibile parlare di “grillismo strisciante” nell’iniziativa dell’ex sindaco di Firenze? Formiche.net lo ha chiesto al sociologo Luca Ricolfi, tra i più acuti studiosi delle tendenze e dei mutamenti profondi dell’opinione pubblica, professore di Analisi dei dati presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino. Spirito critico della sinistra, attento ai temi del federalismo e della questione settentrionale, l’editorialista de La Stampa ha lungamente denunciato il retaggio e i filtri ideologici mistificanti, il complesso di superiorità morale con cui le formazioni progressiste affrontano la realtà pagando il prezzo della loro presunzione e mancanza di sincerità. Pochi giorni fa è stato pubblicato da Mondadori il suo ultimo libro, “L’Enigma della crescita”.
Matteo Renzi sembra voler esercitare un “effetto calamita” verso espulsi e dissidenti Cinque Stelle. Non si rischia un “effetto guazzabuglio” nell’alleanza di governo?
È chiaro che il premier voglia rubare qualche parlamentare a Beppe Grillo, perché sa che la sua maggioranza è molto risicata e sempre traballante. Tuttavia, più che un guazzabuglio somigliante all’Unione di Romano Prodi frantumata in piccole formazioni al governo, mi aspetto un esecutivo che poggia su un consenso a geometria variabile. Una maggioranza che perde alcuni pezzi su un fronte – Giuseppe Civati e gli esponenti del Pd a lui vicini – e ne guadagna su un altro, appunto i dissidenti M5S. Il governo poi, finché Silvio Berlusconi non avrà interesse a staccargli la spina, potrà contare sull’appoggio più o meno dissimulato dei parlamentari di Forza Italia.
Perché tanta vaghezza da parte di Renzi riguardo a modalità e risorse per attuare le riforme economico-fiscali?
Il nuovo presidente del Consiglio è più ambizioso e spregiudicato dei suoi predecessori, ma è fatto della medesima stoffa. È un politico, e un politico non prende quasi mai impegni precisi. Preferisce parlare dei fini piuttosto che dei mezzi, preferisce scaldare i cuori che mettere in moto i cervelli. Quella di Renzi è indubbiamente una rivoluzione, ma è una rivoluzione di comunicazione e di stile, non di contenuti. Almeno per adesso, domani chissà.
La squadra di ministri scelta dal leader del Pd sancisce la vittoria del “Manuale Cencelli”?
Sì. È una sgradevole lottizzazione fra partiti e correnti. Il punto da sciogliere è questo: basta l’indirizzo politico a governare un ministero o ci vuole anche una conoscenza dei problemi? La risposta implicita fornita da Renzi è che competenza, preparazione, esperienza non sono essenziali. Che Dio gliela mandi buona…
Reputa positiva per il cambiamento della giustizia la nomina di Andrea Orlando a Guardasigilli?
A giudicare dal suo curriculum basato su pochi studi e tantissima politica, penso proprio di no. A giudicare dalle sue idee, forse sì. Orlando, che è stato Guardasigilli nel “governo ombra” di Walter Veltroni, non è un giustizialista. Paradossalmente conosce abbastanza bene la macchina della giustizia senza aver frequentato le aule giudiziarie e senza aver conseguito una laurea in giurisprudenza.
Alla guida del Tesoro avrebbe preferito un politico come Enrico Morando?
Avrei visto bene una figura di alta professionalità, non politica, ma dotata di fermezza ideale in materia di conti pubblici e riforme. Penso a Lorenzo Bini Smaghi o Lucrezia Reichlin.
Aderendo al Pse, il Pd sosterrà il tedesco Martin Schultz per il vertice Ue. Renzi potrà sfidare e cambiare l’austerità finanziaria?
Il premier proverà a fare il “galletto” in Europa, ma riuscirà a farsi rispettare solo se avrà realizzato riforme incisive in Italia.
Nel suo intervento a Palazzo Madama scorge i contorni di un ottimismo americano e reaganiano?
Non direi. Anche perché l’apparato politico-burocratico che Renzi ha alle spalle e con cui dovrà fare i conti ha ben poco di anglosassone.
Silvio Berlusconi e Forza Italia possono trarre benefici dall’esecutivo Renzi?
Non si può escludere, specie se il segretario del Pd dovesse deludere. Già ora, nei sondaggi, il centro-destra è leggermente in vantaggio sul centro-sinistra. Se si andasse al voto con l’Italicum e l’elettorato si fosse un po’ stancato di Renzi, la coalizione imperniata su Forza Italia potrebbe vincere al primo turno.
Il governo Renzi rappresenta l’ostacolo più insidioso per il Movimento Cinque Stelle e per Beppe Grillo?
Sì, ma è anche una straordinaria opportunità. Se il premier non ce la fa, cosa che nessuna persona di buon senso si augura, il M5S potrebbe ancora crescere.
Il Pd oggi è una forza destabilizzata e destabilizzante che punta a “rottamare” il proprio leader?
Il Partito democratico è un enorme edificio di relazioni e clientele. Una macchina che, se entri nel giro, può cambiarti la vita e trasformare qualsiasi mediocre in un parlamentare, in un funzionario, in un manager pubblico. Sul piano psicologico costituisce un tremendo apparato di trame, faide, tradimenti, imboscate. Ricordiamo la sostituzione di Prodi a Palazzo Chigi nel 1998, la liquidazione del “salvatore della patria” Veltroni nel 2009, l’impallinamento del professore di Bologna nella corsa alla Presidenza della Repubblica nel 2013, lo sgambetto di Renzi a Enrico Letta poche settimane fa. È una realtà imprevedibile: può avere una funzione stabilizzante quando la stabilizzazione è nell’interesse del partito, e un ruolo destabilizzante quando le lotte fra correnti e le ambizioni personali fanno perdere di vista l’interesse generale.