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Ecco i veri progetti del viaggio di Renzi in Tunisia sponsorizzato da Washington

Il viaggio di Matteo Renzi in Tunisia non arriva per caso. Già programmata durante il mandato del suo predecessore, Enrico Letta, la visita del nuovo inquilino di Palazzo Chigi segnala molto di più che una semplice sortita per curare rapporti di buon vicinato e scambi commerciali.

L’agenda del presidente del Consiglio prevede sì incontri istituzionali – come quelli con il presidente ad interim della Repubblica tunisina, Moncef Marzouki e con Mustapha Ben Jaafar, presidente dell’Assemblea nazionale costituente -; momenti con esponenti femminili della società civile; meeting con una rappresentanza di imprenditori italiani operanti in Tunisia e con Whaida Boucha Maoui, presidente della Confindustria tunisina, presso la residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Tunisi.

Ma dietro l’attenzione che Roma dedica al dirimpettaio ci sono innanzitutto i progetti dell’Occidente, Washington in testa, intenzionato a fare del Paese nordafricano – ancora scosso dagli squilibri economici e democratici lasciati dalla dittatura di Ben Ali – un nuovo modello per le democrazie arabe.

I passi recenti sono incoraggianti. Con un buon tempismo, Mehdi Jomaa è diventato premier della Tunisia quando le principali forze politiche si sono accordate sulla strada da percorrere per tirare il Paese fuori da una lunga fase di stallo, che pareva destinata a continuare ancora a lungo. Sono serviti mesi di trattative, veti incrociati e faide tra il partito islamista Ennahda e le tante anime dell’opposizione, ma infine Tunisi è riuscita a darsi un nuovo esecutivo e a ultimare una Costituzione che ora i Paesi della regione stanno prendendo come esempio.

Per dare continuità al progetto, come sottolineano gli analisti più attenti, non bastano però i cambiamenti legislativi, ma servono innanzitutto quelli economici.

Nel corso del 2013, la Tunisia ha chiesto e ottenuto il sostegno del Fondo monetario internazionale, che ha garantito al Paese un prestito da 1 miliardo e 700mila dollari; altre ingenti risorse, secondo indiscrezioni di ambienti finanziari, sarebbero in arrivo dalla Banca Mondiale in cambio di riforme del mercato del lavoro, dei servizi, dell’energia.

La strada da percorrere è ancora lunga e piena di potenziali ostacoli, in primo luogo quello di attentati terroristici volti a destabilizzare ulteriormente il Paese e portare al fallimento del progetto.

Ma il sentiero è ormai tracciato e Roma potrebbe recitare un ruolo di guida, che potrebbe legarsi e andare di pari passo con quello a Tripoli su cui, come testimonia la Conferenza internazionale sulla Libia di giovedì prossimo (che potrebbe però saltare a causa della crisi ucraina), c’è un forte commitment del nostro Paese e in particolare delle titolari di difesa ed esteri, Roberta Pinotti e Federica Mogherini.

La posta in gioco è non solo lo spazio che le nostre imprese potranno ritagliarsi in due Paesi potenzialmente in crescita, ma anche il ruolo geopolitico dell’Italia (e dell’Europa) nel Mediterraneo e nel Nordafrica di domani.


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