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Marino alla guerra dell’Acea, chi vince e chi perde

Una guerra prima sotterranea, poi evidente, infine deflagrata con la missiva pubblicata oggi in cui chiede chiarezza. Il sindaco di Roma Ignazio Marino ha messo nel mirino l’azienda controllata dal Campidoglio che eroga acqua e luce. Con una serie di riverberi (anche e soprattutto borsistici).

LA PRIMA MISSIVA
Mentre crollano i consensi per il sindaco della Capitale (penultimo nella classifica dei più amati d’Italia) In una lettera riservata dello scorso settembre il sindaco contestava al presidente Giancarlo Cremonesi e all’ad Paolo Gallo la gestione privatistica della società “orientata più al profitto degli azionisti”, la questione delle bollette pazze, i call center, i possibili conflitti di interesse.

AVVISAGLIE
Ma una serie di avvisaglie sul tema si erano avute già in campagna elettorale, con “il grillino Marino”, così com era stato epitetato, fare irruzione nell’assemblea di Acea e imprecando contro D’Alema e Alemanno. Metodo Beppe, lo aveva definito La Stampa, “che ha comprato azioni e partecipa all’assemblea dei soci, va in polemica con Peruzy, uomo di fiducia di D’Alema e consigliere di amministrazione dell’Acea in quota Pd“.

PROVA DI FORZA
In quell’occasione Marino, complice il caso Acea, aveva voluto anche stabilire delle regole dentro il suo Pd, senza rinunciare all’autonomia. Quella stessa autonomia che ha messo in campo due mesi dopo la salita al Campidoglio, quando aveva avviato una sorta di riassetto soft delle municipalizzate, con l’obiettivo di ristrutturare la giungla di società e partecipate ma facendo una piccola marcia indietro su Acea. “È evidente – osservava il primo cittadino – che noi in Acea non possiamo intervenire con la stessa metodologia rispetto alle municipalizzate non quotate in Borsa. Acea è un’azienda quotata quindi questo provvedimento non ha nessun impatto diretto su Acea che deve rispondere come è giusto che sia a leggi e regole di mercato”.

LA SCURE DEL SINDACO
Ecco che la scure del sindaco si abbatte a soli due giorni dal decreto salva-Roma. Una nota del Campidoglio infatti ha reso pubbliche le richieste del sindaco, e proprio in virtù del fatto che egli rappresenta il socio di maggioranza ma di una società quotata in Borsa, nei fatti questa mossa è una sorta di dichiarazione di guerra. Marino chiede di ridurre i componenti del Consiglio di amministrazione da 9 a 5, i compensi e avanza pretese circa la nomina del presidente. Dal momento che si tratta di una comunicazione riservata divenuta pubblica, plausibile che abbia riverberi sul valore del titolo quotato in Borsa. Anche in considerazione del fatto che si tratta dell’unica partecipata foriera di utili al Campidoglio. E con all’orizzonte la seduta monotematica del consiglio per il 13 marzo in cui si discuterà proprio del salva-Roma.

FB
Sul proprio profilo di Fb Marino scrive: “Ho scritto una lettera all’AD di Acea. Voglio far luce su quello che non va nell’azienda di cui il Comune è socio di maggioranza. Bollette pazze, call center malfunzionanti, poca trasparenza nei confronti dei cittadini e dell’amministrazione. Così non va. Pretendiamo e saremo determinati nell’ottenere chiarezza”.

BORSA
Ieri il titolo di Acea valeva 9,4 euro ad azione: una performance di tutto rispetto visto che nel 2012 era a meno della metà, senza dimenticare che è l’unica realtà in grado di produrre utili per il Comune. Ma il dado di Marino pare ormai tratto. Secondo quanto riportato dal Messaggero, gli analisti Kepler Chevreux e Intermonte hanno rivisto al rialzo il target price del gruppo ritoccandolo da 8,50 euro a 9,50 ad azione e migliorando la raccomandazione da “neutral” a “Outperform”. Intermonte inoltre si attende un sensibile miglioramento nel prossimo biennio all’interno dell’area ambiente, in virtù della ripresa economica e ai ritorni del comparto.

SI’ ALLA VENDITA
L‘ipotesi caldeggiata dal commercialista ed editorialista liberale Andrea Tavecchio – espressa in un’intervista al direttore di Formiche.net, Michele Arnese – di vendere il 51% di Acea per ripianare i debiti di Roma, era stata accolta nei giorni scorsi con un plauso da parte di Chicco Testa, già ai vertici di Enel e Acea, e oggi tra l’altro presidente di Assoelettrica. Il manager da queste colonne aveva motivato il suo “sì” convinto che è un’ipotesi percorribile ma “non basta vendere il 51% della compagnia per ripianare il deficit di bilancio della Capitale, che è ben più grave. Acea è solo uno degli asset più facilmente vendibili in tempi brevi, perché si tratta di un’azienda quotata”. Per cui “andrebbe svolta un’asta internazionale in cui si cede anche il controllo della società. È il modo migliore per evitare che vada in mano a gente poco seria o che si facciano speculazioni se dovesse essere acquistata da gente che già possiede quote”.

twitter@FDepalo



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